Il passato ci prova, sta giocando una carta impossibile
Notte di Natale. S’incontrano a Bologna per una partita a poker quattro amici di vecchia data e un pollo da spennare: l’industriale Santelia. Gabriele è un vicecritico cinematografico che vuole scrivere un libro su John Ford. Stefano un personal trainer che si è scoperto gay. Il presentatore tv Ugo e l’esercente cinematografico Franco, trasferitosi a Milano, non si parlano da quando il primo ha sedotto la moglie del secondo, Martina. Al tavolo da gioco, la partita non va come ci si aspetta.
La partita a carte scandisce il ritmo del film per gran parte della sua durata, ma è evidente come si tratti prevalentemente di un pretesto per mettere in luce e far emergere le psicologie dei personaggi. Sia chiaro, il gioco d’azzardo, e con esso l’emozione di rischiare tutti i risparmi di una vita per il brivido della vittoria, sono elementi fondamentali in Regalo di Natale, eppure il film, almeno per gli spettatori non abituati a passare le notti giocando a poker, è principalmente una grande commedia drammatica sull’amicizia virile, e allo stesso tempo una fotografia precisa e pessimistica dell’Italia anni Ottanta.
Questi due aspetti si fondono mirabilmente in un film a basso budget, girato con la solita regia trasparente e classica di Avati quasi tutto in interni, in cui risultano memorabili i primi piani e gli sguardi degli attori in stato di grazia, come i premiati Carlo Delle Piane e Diego Abatantuono, al primo vero ruolo non comico della sua carriera. Nel ricco cast, il Gabriele di Alessandro Haber, teso come una corda di violino, è un critico cinematografico frustrato, l’imprevedibile elemento emotivo di disturbo, al tavolo di scafati e freddi giocatori. L’Ugo di Gianni Cavina invece è l’antagonista del film, responsabile del tradimento dell’amicizia con Franco, di cui ha sedotto la moglie, Martina. Ugo è un Giuda che vende Franco al baro Santelia per ben più di trenta denari, Franco così si ritrova senza la donna e senza il denaro, proprio come il Walter Neff della Fiamma del peccato, citato da Gabriele in una telefonata al giornale. Franco risorgerà dopo diciassette anni nel bel seguito del film, La rivincita di Natale (2004).
Le scene in cui Ugo e Franco si confrontano, dialogano, con il primo che sembra voler fare pace dopo tanti anni, sono tra i momenti più riusciti di Regalo di Natale. Il finale, amarissimo, tra i più spietati del cinema di Avati, oltre che rovesciare il tradizionale dominio della grande città – rappresentata da Franco, ormai milanese da molti anni – sulla provincia, e dell’imprenditoria rampante sulla piccola borghesia a cui appartiene Ugo, sancisce inoltre l’impossibilità dell’amicizia come legame duraturo, un sentimento desueto come le foto in bianco e nero sui titoli di testa. E se nel personaggio di Haber si riflette già la crisi di un mestiere, quello del critico cinematografico, più volte dato per morto, in quello di Cavina, presentatore di televendite per una rete locale, viene impersonata l’illusione di facile successo che ha portato alla rovina molte meteore del piccolo schermo. Film al maschile come pochi, Regalo di Natale è puntellato da frequenti flashback che hanno al centro delle inquadrature Martina, contesa tra Franco e Ugo.
Nelle analessi, che ricostruiscono le fasi della storia d’amore di Martina con Franco e il successivo incontro con Ugo, i due uomini sono sempre fuori campo, ne ascoltiamo solo le voci. Si tratta delle ricostruzioni e dei ricordi personali di Franco, nostalgici, pieni di rimpianto, annebbiati come il suo sguardo, una sorta di semisoggettiva flou. Sono visioni del terzo occhio? Martina le domina, presenza epifanica, della stessa sostanza dei sogni. Non riescono a (ri)conoscere la donna né l’avvocato Santelia, che la scambia per una prostituta nelle scene iniziali del film, né Franco nel finale, accecato dalla sconfitta. Solo a Gabriele è concesso di “vederla”, mentre fa il check-in nell’hotel insieme al suo amante. Privilegi da fordiano.