SPQR, Solo Preti Qui Regnano
Onofrio del Grillo è un marchese, esponente della nobiltà papalina nella Roma di inizio XIX secolo minacciata dall’arrivo dei francesi e soprattutto dagli ideali che i napoleonici rappresentano. La vita del nobile è all’insegna della continua burla e di una costante e irriverente recita. Lo scherzo e la beffa perenni gli permettono sia di vivere ogni aspetto della realtà della città – rompe per esempio i confini tra plebe e nobiltà giocando sulla sua somiglianza con un umile carbonaio e ha per amico un prete diventato brigante – sia di osservare con una certa fatalistica consapevolezza i mutamenti storici in agguato.
“Sor Marchese, è l’ora” è l’esortazione che Gasperino, il malcapitato carbonaio sosia del marchese Onofrio del Grillo, si sente dire al momento di salire sul patibolo, ed è anche l’epitaffio scritto sulla tomba di Alberto Sordi. Un indizio significativo di quanto il nobile buontempone sia tra le maschere più conosciute e celebri della lunga carriera dell’attore romano.
Sordi, probabilmente, col marchese ha anche donato l’ultima sua interpretazione davvero efficace, divertente e incisiva prima di un autunno della carriera all’insegna della ripetizione sempre più stanca di gesti, facce, comportamenti e, nei suoi film da regista, pure di un certo tradizionalismo qualunquista e un po’ moralista. Il Marchese del Grillo è infatti più un film di Alberto Sordi che di Mario Monicelli. Il regista mette al servizio del protagonista e mattatore tutto il suo mestiere e determinate caratteristiche del suo cinema: l’atmosfera malinconica di fondo, la rilettura picaresca della storia e la burla come strumento per esorcizzare le inquietudini dell’esistenza. Onofrio del Grillo può sembrare una maschera più fine a se stessa rispetto agli innumerevoli ritratti dell’homus italicus tratteggiati dall’attore e immersi, che fossero più al vetriolo o più accondiscendenti, nell’attualità dei tempi; può sembrare, e certamente lo è, principalmente un omaggio alla guasconeria e al fatalismo burlesco tipico della romanità e della sua storia, e quindi in qualche modo al “romanismo” che di Alberto Sordi è sempre stato una delle caratteristiche essenziali. Del resto, il protagonista è ispirato ad un nobile del XIX secolo realmente esistito che nella mitologia popolare della città eterna è diventato famoso proprio per la sua irriverenza e i suoi scherzi, alcuni dei quali – la vicenda dell’artigiano ebreo e della campane che suonano a morto – pescati dal film nelle testimonianze del tempo.
La celebre frase “Io so’ io e voi nun siete un cazzo” arriva invece dal sonetto Li soprani der monno vecchio di Giuseppe Gioacchino Belli, il cantore per eccellenza della Roma papalina e ritrattista di una commedia umana in cui convivevano satira e farsa, critica irriverente e accettazione fatalista, volgarità e acume, divertimento e cupezza. Il Belli e le sue atmosfere riecheggiano nel film di Monicelli che, pur essendo di fondo una commedia senza pretese satiriche o di costume che vadano oltre l’immediatezza della superficie, non manca di riferimenti colti e di precisione nel restituire il contesto storico.
A livello esteriore del paesaggio urbano e rurale, la scenografia e la fotografia ricordano gli acquerelli di Ettore Roesler Franz e della sua Roma sparita, quanto a livello meno immediato il film fotografa con precisione i primi sintomi della fine dell’ancien régime nel contesto per eccellenza immobile del potere temporale dei Papi. I primi segnali di una lentissima trasformazione che hanno trovato ottimo terreno per esprimersi nell’arte di arrangiarsi e del “Franza o Spagna purché se magna” propria della maschera Sordi e in un personaggio come quello del marchese sì guascone e cialtrone, ma anche con la consapevolezza fatalista di cambiamenti ormai inevitabili espressa attraverso il distacco della burla.
In questa divertente farsa un po’ malinconica che può funzionare come racconto e divulgazione storica, fondamentali, oltre ad Alberto Sordi, sono anche gli ottimi Flavio Bucci nel ruolo iconico del prete brigante Don Bastiano e Paolo Stoppa nei panni di Papa Pio VII.