Notti magiche
La sedicesima edizione dell’Europeo è stata in qualche modo all’insegna della rinascita e della resurrezione. Ovvia e prevista è stata la resurrezione del calcio come spettacolo e identità collettiva per cui è necessaria, in particolare in manifestazioni come europei e mondiali, la presenza fisica dei tifosi: il ritorno di uno spettacolo che le contingenze globali hanno reso il simbolo di una rinascita nel senso più ampio del termine. Poco prevista alla vigilia è stata invece la resurrezione calcistica degli azzurri, protagonisti di un mezzo miracolo sportivo, spinti e accolti da una carica di entusiasmo, probabilmente superiore anche al mondiale del 2006, che nasce anche dalla percezione di un qualche legame simbolico tra la rinascita sportiva della squadra e quella post-pandemica della nazione, e che in quest’ottica è stato raccontato.
È pacifico e risaputo che, piaccia o non piaccia, il calcio ha, come tutte le “religioni” popolari di massa, connotazioni e significati talvolta ambigui e complessi, che vanno oltre il campo e che possono dare materiale ad antropologi, sociologi e storici culturali. Si legga questo articolo sui legami tra i risultati della nazionale francese, l’integrazione e l’idea di società multietnica, o si pensi allo shock non solo calcistico nell’Inghilterra che sperava di inaugurare simbolicamente, con “il ritorno a casa” del trofeo, la nuova era e l’orgoglio post-Brexit. Salvo ritrovarsi con un accenno di ritorno degli Hooligans, sintomo di disagio sociale, e con insulti razzisti nei confronti dei giovani malcapitati rigoristi che del post-Brexit hanno messo in primo piano gli aspetti di razzismo, paura e chiusura.
Altrettanto pacifico è come queste connotazioni più profonde e complesse vengano riassunte e semplificate dal tono nazionalpopolare con cui questo sport viene raccontato e percepito. Nelle narrazioni più mainstream di questi europei, la resurrezione collettiva post-pandemica e la resurrezione calcistica della nostra nazionale sono infatti andate a braccetto fin dalle immediate reazioni alla vittoria. Emblematico, nella sua tipica pomposa retorica, è stato il discorso di Fabio Caressa, tutto incentrato sulla vittoria come collante e rinascita di un popolo piegato da pandemia, sofferenze, morti e lockdown; più raffinato e dotto, ma nella sostanza simile, il magniloquente, a metà strada tra D’Annunzio e Carducci, elenco di importanti località italiane che rialzano la testa fatto dal radiocronista Francesco Repice pochi secondi dopo l’ultima parata di Donnarumma.
Il dualismo Rai – Sky per il resto non ha portato grosse sorprese; ecumenico, post-democristiano e governativo l’approccio della tv di stato, non tanto nella professionalità dei telecronisti, quanto nel circo degli approfondimenti post-partita con i soliti volti ed ex calciatori non sempre a loro agio; più circense e con molti telecronisti ai confini della maschera autoparodica Sky, dove però sono state mediamente più approfondite le riflessioni post-partita e più evidente anche l’attenzione a raccontare il calcio di squadre che non fossero l’Italia.
Se i social e i nuovi media sono stati ancor più del recente passato veicolo di simboli, messaggi e sguardi oltre il campo da gioco – su tutti, la cassa di risonanza data agli inginocchiamenti legati al Black Lives Matter -, le nuove realtà mediali iniziano ad essere protagoniste anche a livello più strettamente calcistico. Su Twitch è stato possibile assistere, per esempio, alla Bobo Tv, dove quattro amici ex calciatori (Vieri, Adani, Ventola e Cassano) trovano un curioso equilibrio, talvolta nella stessa frase, tra il cazzeggio, i commenti da vecchio bar dello sport e più competenti riflessioni o più centrati approfondimenti.