Manca una piccola impresa meridionale
È difficile distinguere la Sicilia dalla Puglia, la Basilicata dalla Campania. Il Meridione nella fiction Rai è un serbatoio immaginifico a cui si attinge spesso. Come potrebbe essere altrimenti? Sono terre fotogeniche: il mare e la calura, il cibo e la luce. Si tratta di stereotipi e mondi bidimensionali, storie e personaggi che toccano il tema camminandoci intorno, sulla linea di confine, senza penetrarne l’anima. Sono carezze che non approfondiscono l’amore.
Màkari che vorrebbe prendere il posto lasciato vuoto da Il commissario Montalbano, Le indagini di Lolita Lobosco e Mina Settembre che seguono la scia di Imma Tataranni sono le fiction targate Rai1 dove il Sud è sempre uguale a sé stesso, una regione simile all’altra.
Sembra poco importante dove ci si trovi, che luogo si racconti. Qualunque sia l’ambientazione, lì la gente è sempre molto felice, il vento accarezza i volti e le tende delle case, rigorosamente sul mare, svolazzano. Lì, la gente si conosce, si saluta urlando da una parte all’altra delle strade; è pronta ad aprire la porta di casa anche agli “stranieri”, accogliere alla propria tavola chi diventa nuovo amico da rimpinzare.
C’è poca originalità in questo meridione in cui ogni cosa è talmente stereotipata da diventare fastidiosa e stucchevole: si è contenti in maniera finta, si soffre in maniera “teatrale”, ogni sentimento è trattato come qualcosa di semplice, un banale sentimento senza troppi pensieri. Cliché duri a morire, difficili da eliminare.
Se si vuole raffigurare un mondo non si può solo immaginarlo, pensarlo. Bisogna conoscerlo a fondo: non si può portare la Sicilia sul piccolo schermo senza sentire nelle vene un po’ di Pirandello e Sciascia. Su questa “letteratura” si è costruito un topos letterario chiaro: il Mezzogiorno è un’oasi per fare pace con Dio e con sé stessi, dove eroi ed eroine risolvono i problemi, un Sud che dovrebbe incarnare un luogo dove ci si riconcilia con il mondo e il tempo non è più una categoria. Non è sufficiente tale schema per fare di queste fiction un’importante tessera di tale racconto. Se ci pensiamo bene anche i delitti lì perdono di crudeltà e disumanità, come se non ci fosse nulla di tragico degno d’analisi.
La sensazione è che alla base di tutto ci sia un racconto sottile, fuggevole, ridotto a una velina senza profondità. Non emerge l’identità meridionale, solo pochi elementi, sempre gli stessi. Queste storie devono fare ancora molta strada per poter essere originali, profonde, vere espressioni di una parte di mondo unica, lontana dell’essere copia. È tempo di restituire complessità e autenticità ad una terra le cui narrazioni televisive lasciano allo spettatore un retrogusto amaro per la loro superficialità. C’è la necessità che ci siano basi forti, profonde, radici salde, che le terre siano non solo scenari, cartoline mozzafiato dove i personaggi camminano, mangiano, amano.