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Forte respiro rapido. La mia vita con Dino Risi

sabato 17 Aprile, 2021 | di Lorenzo Ciofani
Forte respiro rapido. La mia vita con Dino Risi
libri di cinema
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Una storia di cinema, l’autopsia di un padre
Come una Spoon River. Romana, naturalmente. Antologia tiberina, parafrasando Edgar Lee Masters. Le vite perdute, sì: una seduta spiritica con funzione terapeutica, come tutte le autobiografie. Ma la terapia è collettiva, perfino soprannaturale. Sono morte (quasi) tutte le persone citate in Forte respiro rapido. La mia vita con Dino Risi, un libro che è una parata di fantasmi rievocati da un narratore, Marco Risi (regista di Mery per sempre, Ragazzi fuori, Il branco e dei sottovalutati e bellissimi Un ragazzo, una ragazza e Colpo di fulmine), che è al contempo un testimone, un reduce, una cerniera, un congiunto. Le vite altrui, d’accordo, e anche quelle di personaggi mai esistiti se non sul grande schermo, ombre impresse su pellicole infiammabili, spiate nell’oscurità delle sale. Le sale, appunto. Questa è la vera Spoon River.

Marco Risi fa parte di una generazione che andava al cinema. Sempre. Tutto il suo libro è puntellato da episodi accaduti in una sala cinematografica. Il ricordo del primo film, l’epifania del tetto che si apre, le storie d’amore, gli incontri con spettatori che parevano caratteristi di Cinecittà, la cementificazione dell’amicizia con Carlo Vanzina, l’amico del cuore. Li cita sempre, Risi, i nomi di questi cinema. Nell’ordine: il Rivoli (chiuso per sempre), il Quirinale (chiuso per sempre, vicino al Ristorante Foghèr di Sandro D’Eva, per otto volte direttore della fotografia con Dino Risi), il Roxy (aperto ma ora chiuso, e qui Marco incontrò per caso Dino a una proiezione di La passione di Cristo: «Sai qual è il problema di questo film? Non ti appassioni al protagonista», sentenziò il vecchio), l’Ariston (chiuso per sempre: qui Marco vide Taking Off con Sergio Amidei, imbestialito per le traduzioni puritane delle canzoni), l’Adriano (aperto ma ora chiuso), il Supercinema (chiuso per sempre), il Barberini (aperto ma ora chiuso), l’Embassy (chiuso per sempre), l’Empire (chiuso per sempre), l’Holiday (chiuso per sempre), l’Astoria (chiuso per sempre), il cinema parrocchiale di Piazza Euclide (chiuso per sempre, dove Marco vide il primo film in sala: Marcellino pane e vino), l’Europa (aperto ma ora chiuso).

Il papà di Marco, Dino, andava sempre al cinema. Non era così scontato: per quanto assurdo possa sembrare, molti cineasti non vanno al cinema. Snobismo? Pigrizia? Invidia? Insicurezza? Dino Risi, invece, ci andava quasi ogni giorno. Camminava con un amico, con il figlio, con un’amante e improvvisamente sgattaiolava all’interno di una sala. In una sala, peraltro, Dino narrava di aver conosciuto la moglie, la bellissima Claudia Mosca, durante una proiezione di Accadde una notte nel 1944, nel periodo in cui il futuro regista era sfollato con Franco Brusati, Livio Garzanti, Giorgio Strehler. Dei grandi registi della commedia all’italiana – ma diciamo del cinema italiano tout court – Risi è quello generalmente descritto come il più cinico. È una mitologia che per certi versi si è costruito da solo, complice l’immagine ieratica (somigliava a Gianni Agnelli e ne approfittava per prendere in giro qualche sprovveduto), il tono tranchant, la laurea in Medicina.

Forte respiro rapido – tre parole che rappresentano un po’ la Rosebud del maestro, con il figlio chiamato ad aprirci al mistero di un uomo costantemente impegnato a nascondersi per svelarsi secondo il suo volere – sembra avere come missione quella di restituire la complessità di Dino. È un obiettivo che si affranca dall’autonarrazione contenuta non solo nel memoir redatto dall’ormai anziano e depresso regista (I miei mostri, splendida antologia di ricordi pubblicata nel 2004) ma anche nei film, specialmente quelli interpretati dall’alter ego Vittorio Gassman (Il tigre su tutti: «Con Vittorio sono morto anch’io» disse al decesso dell’amico).

Marco lo fa offrendoci quella che potremmo chiamare un’autobiografia altrui. Parla di sé, della sua educazione sentimentale, della sua formazione artistica, del suo lessico famigliare. Ma il baricentro è altrove. Ed è Dino, padre complicato che rivendica la facilità come stile di vita (Easy Life era il titolo americano di Il sorpasso) e padrone di un immaginario segnato dal dominio delle “quattro S: sole – soldi – successo – salute”, più altre due aggiunte da Marco, “sonno” (il rito della pennichella pomeridiana) e “sogni” (che Dino raccontava alla moglie nelle lettere giovanili). Come tutti i cinici, Dino Risi era un romantico. Come tutti i romantici, era contorto. Il figlio ne narra le avventure extraconiugali, i baci dati a ragazze fin troppo giovani, le prodezze da gallo italico. Ma in realtà sembra un modo per far emergere il lato oscuro di un uomo vissuto al sole: perciò Marco trascrive le struggenti lettere d’amore spedite alla madre, ci fa sfogliare gli album in cui raccoglieva foto, ritagli, articoli di cronaca, immagini di belle donne, vignette, ci fa entrare nell’intimità di una famiglia minata dal dramma delle dimenticanze ineluttabili (le malattie di mamma Claudia e zio Nelo, poeta e regista: «Adesso non so più neanche scrivere una riga») e nel quotidiano di un anziano devastato dalla depressione.

Forte respiro rapido è, va da sé, anche la Spoon River di un cinema scomparso. Alla ricerca del tempo perduto. Come tutti i libri di cinematografari di casa nostra, è una piccola costola del più importante, del più bello, del più divertente, del più appassionante testo sulla settima arte tricolore che è ovviamente il monumentale L’avventurosa storia del cinema italiano a cura di Franca Faldini e Goffredo Fofi (e relativa emanazione, cioè Il cinema italiano d’oggi 1970-1984: quando vogliamo ripubblicarlo?).

Il repertorio di aneddoti, retroscena, curiosità è sterminato. Ne citiamo alcuni, per gusto e piacere: Goffredo Lombardo produsse La nonna Sabella ritenendolo «una mevda» e quando il film vinse la Concha d’Oro al Festival di San Sebastián Risi gli telegrafò: «Mevda ha vinto»; Mario Monicelli che, al funerale di Pasquale Festa Campanile, cercava lo sguardo di qualche cineasta malridotto, lo indicava, roteava l’indice e poi indica la bara; Anita Ekberg che chiede al vecchio amante Dino ormai ultraottantenne l’età della compagna e una volta scoperta sentenzia «tu ama sempre pollastrelle» (la signora aveva sessant’anni); il surreale incontro tra Elia Kazan e Claudio Caligari (Marco gli fece da produttore per L’odore della notte); Vittorio Gassman che, sul set di La grande guerra, minaccia il prevaricante Alberto Sordi intimandogli «Guarda che io meno»; Sordi, in concorso al Festival di Cannes con Un borghese piccolo piccolo, che cerca di arruffianarsi il presidente della giuria Roberto Rossellini dicendogli «Te faccio lavora’!»; la pazza idea di arruolare i colonnelli della commedia all’italiana per interpretare i “cattivi” ne Il muro di gomma.

E tuttavia ridurre Forte respiro rapido a un’antologia di aneddoti sarebbe ingiusto, benché siano tutti più che dilettevoli. È una delle autopsie che il dottor Dino Risi non ha mai compiuto nella sua carriera mancata, uno studio sul carattere italiano attraverso la storia di arcitaliano e lo spaccato di una nazione euforica e dedita a continui sorpassi, la lettera d’amore di un figlio comprensivo e rispettato a un padre titanico e amatissimo. Nella consapevolezza che il cinema c’è anche quando non ci sei più, Marco ci regala un film bellissimo quando rievoca l’ultimo incontro con Dino, sul set di Fortapàsc: una foto in cui compare anche il nipote Andrea (tre generazioni di Risi) scattata pochi giorni prima della fine. Una fine triste, nel residence di fronte al bioparco di Roma, dove Dino ha trascorso buona parte della vita. Una telefonata come tante, se non fosse stata una delle ultime. E un monito, un rimprovero, una promessa per mascherare il baratro di un dolore senza soluzione: «Tu pensa al tuo film». Perché il cinema resta anche quando non ci sei più.

Forte respiro rapido. La mia vita con Dino Risi.
AUTORE: Marco Risi.
EDITORE: Mondadori. ANNO: 2020.
264 pagine.

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