Una risata ci umanizzerà
Punto di partenza del primo speciale di Mediacritica del 2021, dedicato alla comicità e curato da Emanuele Rauco, è il cinema muto, all’interno del quale si sviluppò la “slapstick comedy”: dagli esordi in Francia alla maturità negli Stati Uniti, i tempi comici perfetti e l’efficacia della regia, la strabordante fisicità e l’umorismo del corpo buffo, acrobatico, dolorante dei vari Chaplin, Keaton, Stanlio & Ollio, e dei tanti altri beniamini del pubblico oggi meno ricordati (ai quali dedichiamo uno degli articoli) rimarranno anche nei decenni successivi gli ingredienti fondamentali, la grammatica di base per tutte quelle immagini in movimento capaci, su piccoli o grandi schermi, di suscitare il riso.
In un celebre saggio (Le rire: essai sur la signification du comique), pubblicato cinque anni dopo la nascita del cinema, Henri Bergson scriveva “ridiamo tutte le volte che una persona ci dà l’impressione di una cosa”, così identificando nella reificazione dell’essere umano, nella perdita della sua unicità e della sua individualità la scintilla che fa scaturire il riso. E la lotta atavica dell’uomo contro le cose, contro il “divenire cosa” lui stesso, una battaglia persa, sembra fare dei comici cinematografici, come sottolinea uno dei pezzi dello speciale, dei luddisti votati alla distruzione. Una vocazione catastrofica, espressione di un’impossibilità di stare al mondo, di giungere a patti con il vivere civile. La funzione entropica che il comico rappresenta all’interno del sistema sociale, pare agire nascostamente, proprio come un fenomeno carsico, attraverso alcune fasi di evoluzione del genere, per poi tornare manifesta in superficie, con i nuovi corpi “fuori controllo” del cinema americano a cavallo tra gli anni Settanta e gli Ottanta, John Belushi in primis. Da lì al boom del demenziale il passo è breve.
Ma prima, la comicità del muto, nei suoi tratti distintivi, si fonde con il sentimento nei geniali lungometraggi di Chaplin (a partire da Il monello), esplora le potenzialità del sonoro con i fratelli Marx, rende adulta l’animazione con il talento di Tex Avery, trova in Totò la maschera italiana per eccellenza, in Tati il cantore malinconico della modernità. C’è ancora traccia del comico puro nelle raffinate commedie di Blake Edwards e nel trasformismo di Peter Sellers, nelle mille personalità di Jerry Lewis come di Robin Williams (sui quali vi consigliamo di leggere il libro che Roberto Lasagna e Anton Giulio Mancino hanno pubblicato l’anno scorso). E se in tv gli ineguagliabili Monty Python e forme seriali via via sempre più sofisticate hanno gioco facile nell’aggiornare il linguaggio della risata, persino nel cinema documentario, con Dick Johnson Is Dead di Kirsten Johnson (2020), la convenzionale austerità dei contenuti cede il passo spassosamente a un omaggio irresistibile a gag e situazioni dello slapstick delle origini.
Lasciatevi condurre, allora, alla scoperta di alcune tra le innumerevoli forme che il genere comico ha assunto nella storia del cinema e della serialità televisiva. Sarà un viaggio appassionante.