Jerry Lewis e Robin Williams: kings of comedy
Il modello sono le Vite parallele di Plutarco. Ma gli uomini illustri qui non sono un greco e un romano, bensì due tra i più grandi comici della Storia del cinema: Jerry Lewis e Robin Williams. E il libro si chiama Jerry & Robin. Pensare divertente, scritto da due tra i nostri critici cinematografici più preziosi, Roberto Lasagna e Anton Giulio Mancino. Il modello, indicato da Steve Della Casa nell’introduzione, offre agli autori l’opportunità di sviluppare binari paralleli, mettendo allo specchio Lewis e Williams, ma senza cadere nello stereotipo del confronto per cui le due parabole “sono uguali”: furono artisti molto diversi, questa la premessa, a partire dalla fine, l’ultima apparizione di Jerry Lewis a Cannes 2013, quasi novantenne ma ancora corpo comico irrefrenabile, messa a confronto con il suicidio di Robin Williams nel 2014 all’età di 63 anni. Vite non simili, ma neanche completamente differenti: parallele, appunto.
I contatti ci sono, come sottolineano Mancino e Lasagna nell’introduzione sotto forma di dialogo tra i critici, spiegando la genesi del progetto dedicato proprio a loro due, non ad altri: “Una dichiarazione d’amore scritta a quattro mani”, la definisce Mancino, trovando la prima grande assonanza nel ruolo di entrambi gli artisti, “benefattori della risata“, ovvero kings of comedy, portatori di un comico che nasce prima di tutto nella testa, dentro il pensiero, nella capacità innata del pensare divertente che dà il titolo al volume. E poi c’è il “doppio fondo delle maschere”, il confine sfumato tra comicità e malinconia che fu proprio di tutti e due. È il dramma dell’opossum, si dice, l’animale che ride ma visto al contrario sembra tremendamente triste. D’altronde il critico letterario Terry Eagleton in Breve storia della risata ricostruisce l’ipotesi storica che il riso sia nato dal pianto: “Nel suo studio sulle emozioni, Charles Darwin sottolinea che la risata può essere facilmente scambiata per dolore, ed entrambi gli stati possono portare ad abbondanti fiumi di lacrime. Nella Scimmia nuda, l’antropologo Desmond Morris sostiene che la risata si sia in realtà evoluta proprio dal pianto”. Questo sospetto si applica anche a Jerry e Robin.
Anton Giulio Mancino percorre la parabola di Jerry Lewis, Roberto Lasagna analizza il percorso di Robin Williams. Diviso in due parti che dialogano costantemente tra loro, il lavoro sui corpi di indagine è inedito per completezza e profondità, ma non solo: è in grado di trovare connessioni, sguardi laterali, percorsi di senso sconosciuti, insomma qualcosa a cui non avevamo pensato. Mancino indica Re per una notte di Scorsese come “un libretto d’istruzioni” per capire Jerry Lewis, paradossalmente un film non diretto da lui, che viene esaminato in un gioco di riflessi: il rapporto tra Lewis e De Niro nel titolo del 1982 ricorda nella realtà quello tra Lewis e Dean Martin, il partner abbandonato a cui è dedicato ampio spazio, soprattutto alla fine del sodalizio che porta Jerry verso il fondamentale passaggio alla regia e quindi alla gloria definitiva. Ma, nel film, Lewis veste una parte che sembra descrivere proprio Dean Martin, ossia rimette in scena la propria esperienza interpretando l’altro, mentre De Niro rifarà il suo ruolo a parti invertite in Joker. E così via, avvitandosi in abisso.
Quanto a Robin Williams, Lasagna si lancia in un esame del suo percorso artistico, come detto, senza precedenti: dagli inizi nella stand-up comedy alla notorietà per l’alieno della serie Mork e Mindy, dai primi titoli al film della svolta, Good Morning Vietnam di Barry Levinson, fino alla fama planetaria e ai lavori con Van Sant, Spielberg, Woody Allen. Lasagna perlustra anche i film minori che valorizzarono il talento comico dell’attore, come il fallimentare – all’epoca – Popeye di Altman che oggi appare invece “una composizione fantasmagorica e anarchica”. Il critico scava nelle pieghe dell’attore analizzandone la tecnica, per esempio lo studio del riffing che evolvendosi portò alla celebre interpretazione en travesti di Mrs. Doubtfire. E, soprattutto, scruta nelle pieghe del comico per trovare il tragico: nell’ultimo lungometraggio da protagonista, Boulevard di Dito Montiel del 2014, Williams è un sessantenne che dopo una vita di routine scopre di essere gay. “Williams racconta la diversità con l’angoscia di chi non sa affrontare la propria natura”, scrive Lasagna di questo film-presagio, esattamente come poco prima Robin aveva lasciato la commedia per interpretare la trilogia dei cattivi (One Hour Photo, Eliminate Smoochy e Insomnia), che lui chiamava “il mio periodo marrone”. Il critico, più genialmente ancora, rilegge il ruolo in Harry a pezzi di Allen in cui Williams recita una piccola parte totalmente fuori fuoco: è il simbolo di “un’inquietudine celata con disinvoltura”, causata anche dal peso delle attese “che a un attore, arrivato a vette di popolarità e apprezzamenti, possono apparire strette o addirittura inconciliabili con il particolare momento vissuto”. Si affaccia quell’ombra che, tra problemi e divorzi, dipendenze e malattie, porterà Williams verso la morte.
Mancino e Lasagna insomma costruiscono uno specchio: una superficie riflettente in cui si rivedono due grandi, parlandosi tra le pagine, scovando assonanze e differenze. Due che oggi non ci sono più e mancano molto: “Ci si accorge di quanto, senza Williams e senza Lewis, manchi un po’ di quell’irriverenza umanistica in grado di infondere salutare leggerezza, aiutando a ‘pensare’ in modo libero e divertente”. Ci si accorge, anche, di come la critica migliore sia quella che esce dall’ovvio, che segue con coraggio binari nuovi, qui paralleli, che verifica possibilità prima inesplorate. Come il confronto tra Jerry Lewis e Robin Williams: così lontani, così vicini.
Jerry & Robin. Pensare divertente
AUTORI: Roberto Lasagna e Anton Giulio Mancino.
EDITORE: Falsopiano.
ANNO: 2020.
270 pagine.