La commedia delle commistioni
Anche se è noto soprattutto per le commedie, Blake Edwards è stato in realtà un regista che nel corso della sua carriera ha affrontato diversi generi cinematografici, dal dramma (I giorni del vino e delle rose) alla spy story (Il seme del tamarindo), dal thriller (Il caso Carey) al western (Uomini selvaggi). Inoltre, l’autore statunitense ha spesso unito strutture filmiche e narrative differenti anche all’interno delle sue singole opere, basti pensare a una pellicola come Victor/Victoria, commedia brillante alla Lubitsch e alla Wilder che contiene al tempo stesso elementi tipici del comico puro, del musical e del gangster movie.
Tra le numerose commistioni presenti nel cinema di Edwards, la più diffusa e lampante è sicuramente quella tra la sophisticated e la slapstick comedy, dunque tra i dialoghi, i personaggi, gli ambienti altolocati tipici della commedia brillante e le gag visive vicine al cinema comico muto.
Tutto ciò a partire da La pantera rosa, dove le ambientazioni lussuose (l’hotel di Cortina d’Ampezzo, il castello della festa in maschera), i personaggi belli, ricchi e raffinati (il ladro gentiluomo, la sua seducente complice e la principessa orientale) e i loro giochi di seduzione interagiscono spesso con il maldestro ispettore Clouseau, con la sua goffaggine sempre al centro di capitomboli e disastri vari che talvolta coinvolgono anche gli altri protagonisti della vicenda.
E se i successivi film dedicati all’imbranato investigatore impersonato da Peter Sellers abbandoneranno sempre di più i toni brillanti della commedia sofisticata per abbracciare completamente le gag comiche (con la parziale eccezione di La pantera rosa colpisce ancora), in altri film del regista i due tipi di umorismo continueranno a ibridarsi e alternarsi.
Questo perché tale connubio entra spesso a far parte dello stile registico di Edwards, il quale tende a far convivere nello stesso blocco narrativo, o addirittura nello stesso quadro, gag di diversa forma e natura per rendere più ricche e vitali le proprie pellicole. In tale direzione, un esempio calzante è costituito da una scena di S.O.B., dove un dialogo brillante viene interrotto dal crollo del soffitto che sta sopra le teste dei protagonisti.
A volte, però, tale unione assume anche delle funzioni più spiccatamente cinefile e polemiche, collocandosi così tra l’omaggio al cinema del passato e la critica alla borghesia e al sistema produttivo hollywoodiano. Sotto questa prospettiva, il titolo più significativo è sicuramente Hollywood Party, un film quasi privo di dialoghi e tutto basato sulle gag di Peter Sellers che – similmente a quanto realizzato negli stessi anni da Jacques Tati in Francia – intende rivisitare in chiave moderna l’umorismo visivo tipico del muto.
E nonostante quest’opera sia a tutti gli effetti una slapstick comedy, in realtà anche qui vi sono elementi tipici della commedia sofisticata, basti pensare all’equivoco sul quale si basa il plot (il personaggio principale viene invitato alla festa per sbaglio) e alla villa lussuosa e iper-tecnologica in cui si svolge la vicenda. Uno spazio, quello appena citato, messo gradualmente a soqquadro dai gesti dell’ingenuo protagonista – una maldestra comparsa indiana – che allagherà l’abitacolo, sconvolgendo un party abitato da individui tronfi e snob. Si può dunque affermare che in questo caso gli elementi sofisticati e quelli slapstick entrino addirittura in conflitto, in quanto i secondi mettono costantemente in discussione i primi non solo attraverso la “distruzione” della villa, ma anche tramite le altre invenzioni comiche presenti nell’opera.
Risulta quindi evidente come l’incontro/scontro tra commedia sofisticata e slapstick comedy assuma anche una funzione dialettica atta a rivelare i limiti di un sistema sociale che Edwards ha spesso criticato. Un elemento tematico/formale che caratterizza anche altri film dell’autore statunitense, dove le gag più fisiche e “distruttive” avvengono in situazioni mondane rigide e ingessate, si pensi per esempio a La pantera rosa – nel quale la festa in maschera viene rovinata dallo scoppio dei fuochi d’artificio all’interno del castello che la ospita – o ad Appuntamento al buio, commedia screwball rivisitata, dove una Kim Basinger ubriaca e senza freni inibitori sconvolge gli equilibri di una cena aziendale tutta votata a seguire le direttive maschiliste e retrograde di un ricco cliente giapponese.
Si può dunque affermare che spesso nel cinema di Edwards le gag visive e spettacolari non sono solo un mezzo per aumentare il ritmo delle pellicole o per omaggiare il cinema del passato, ma risultano anche dei veri e propri atti liberatori nei confronti di ambienti e contesti che l’autore osserva con occhio sarcastico e disincantato.
Tutto ciò perché Blake Edwards – pur lavorando all’interno del sistema – è stato in fondo un regista in qualche modo “ribelle”, che ha messo in discussione generi e ruoli predefiniti, basti pensare alle ambiguità sessuali di Victor/Victoria o alla crisi del maschio benestante e di mezza età in 10. In tale direzione va S.O.B., commedia amara sull’avidità del sistema produttivo hollywoodiano, dove i toni feroci e i costanti rimandi alla morte si uniscono ad alcune caratteristiche della commedia sofisticata (le battute sul cinema, l’ambiente lussuoso delle ville californiane) e della slapstick comedy (automobili che sfondano pareti, buchi sul pavimento, ecc.). Tutto questo in un’opera che raccoglie vari elementi poetici del cinema di Edwards, dallo sguardo sarcastico sulla borghesia all’ibridazione di diversi registri filmici/narrativi in funzione ritmica e dialettica.