Cronaca di una Germania perduta
«Ti rialzi per prendere il cappotto e andare a casa. Ti volti. Niente più cappotto. Niente più casa.»
In un silenzio sospeso, così inizia il Novecento, nella stessa atmosfera pregna di disagio che di solito ci accompagna alla fine di una festa, quando si diventa testimoni, involontariamente, della solitudine dell’ospite che deve sistemare il caos suo malgrado. L’immaginario villaggio di Schabbach è l’incubatrice delle promesse mancate del secolo precedente e dell’euforia ingiustificata della Belle Époque. Il trigger di una storia che coprirà la Storia della Germania è Paul Simon, di “ritorno” dalla Grande Guerra.
Paul sembra l’involucro di una nazione che, mano a mano, andrà a riempirsi del vuoto negativo che porterà la Germania al nazismo. Passivo nell’affrontare la quotidianità di un luogo fermo nel tempo, Paul è una delle due facce del nuovo secolo, ma da perfetto contraltare c’è sua moglie, Maria, la grande protagonista del primo Heimat.
È qui che Edgar Reitz compie un vero miracolo, nel primo dei sette capitoli che compongono la versione cinematografica della prima parte della saga (undici sono invece gli episodi in cui è suddivisa questa prima parte, nella versione televisiva), un capitolo della durata di circa due ore, che delinea nell’arco temporale di nove anni un tableau deflagrante di un caleidoscopio umano multidimensionale. Nostalgia di terre lontane, il titolo in italiano di questo primo episodio, è una esperienza testurizzata che andrebbe vista e rivista per comprendere appieno non solo Heimat, ma tutta la disperazione esistenziale che spingerà Paul ad andare via, verso la terra degli -ismi, l’America.
Maria, così, diventa il ventre e l’incubatrice benevola di un’epoca che non vuole morire, vero elemento fisso di un mondo teso in avanti, perso in un bisogno febbricitante, e inutile, di correre verso un dirupo a braccia aperte; questa spinta motrice è rappresentata perfettamente da Paul che abbandonando moglie, figli e la placida Schabbach conferma di essere un disperso tra i vivi, un volto tra i volti della generazione perduta reduce dalla Prima Guerra Mondiale e dai suoi orrori interiorizzati e mai condivisi a casa. Se in America, nonostante la crisi economica e la depressione imminente, la gente viveva ancora, nella prima metà del Novecento, in un innocente edonismo, l’Europa sviluppava al meglio la propria vocazione verso la morte e Schabbach con lei.
Esce dunque in 4k l’operazione di restauro di Heimat per mano della Edgar Reitz Filmstiftung e prodotto da Ripley’s Home Video, ritrovando la sua versione originale di sette capitoli (presentata così sia a Monaco che a Venezia nel 1984) in lingua originale con i sottotitoli in italiano. Il lavoro che ha richiesto, quasi un decennio, è un atto d’amore verso la Storia e la storia di noi cinefili che, nel cinema, forse, abbiamo trovato un approdo. “Heimat” in molte lingue è un concetto intraducibile, così come l’opera di Edgar Reitz: è la patria, la casa, ma anche il bisogno di recidere il cordone ombelicale da un luogo sicuro, felice che, per vivere, deve rimanere nello spazio dei ricordi e della nostalgia. Perdersi, con la speranza che saremo ritrovati.
Heimat [id., Germania 1984] REGIA Edgar Reitz.
CAST Marita Breuer, Michael Lesch, Eva Maria Bayerwaltes, Gabriele Blum.
SCENEGGIATURA Edgar Reitz, Peter F. Steinbach.
FOTOGRAFIA Gernot Roll. MUSICHE Nikos Mamangakis.
Drammatico, durata 924 minuti.