Passaggi d’autore, 3-8 dicembre 2020
Mare Nostrum
Il fulcro del festival sardo (la sede è Sant’Antioco, cittadina del Sulcis) Passaggi D’Autore: Intrecci Mediterranei, la cui sedicesima edizione si è svolta dal 3 all’8 dicembre 2020, è la mappatura dei cinema dei paesi che si affacciano sul Mediterraneo, con le relative tendenze, le poetiche e gli stili più o meno dominanti, e i conseguenti sguardi sulle realtà. Ventiquattro sono stati i cortometraggi selezionati in Intrecci Mediterranei, la sezione quindi in qualche modo più identitaria della manifestazione.
Da molte di queste opere traspare l’idea che il Mare sia “nostrum” fino a un certo punto. Inevitabile infatti che molti film raccontino non solo drammatiche questioni legate alle migrazioni, ma anche altri tipi di sradicamenti, muri, odi e diffidenze, o incontri che smuovono consapevolezze e coscienze. È il caso questo del bellissimo White Eye dell’israeliano Tomer Shushan, dove l’incrocio tra due strade diventa teatro di una drammatica presa di consapevolezza dell’altro e delle sue condizioni. Il climax emotivo del protagonista che passa dall’autoreferenzialità alla coscienza viene reso soprattutto grazie alla perizia stilistica e ad un virtuosismo mai eccessivo, con piani sequenza, la cinepresa mobile pedinatrice e scandagliatrice e la profondità di campo, adatti a far emergere le questioni più profonde della vicenda.
Un’altra ottica con cui raccontare l’emigrazione è quella scelta dal marocchino Le depart di Xavier Sirven, un film dolce nella sua amarezza che tratteggia, concentrandosi sull’intimo e sulla quotidianità più emotiva, lo sradicamento di un bambino dalla sua realtà, con una maniera di raccontare l’infanzia che può ricordare François Truffaut. I bambini non si limitano a guardarci nel palestinese The Present di Farah Nabulsi e nell’egiziano Henet ward di Morad Mostafa, ma le loro improvvise azioni diventano decisive nel superare l’impasse dovuta ai muri, fisici o culturali, di cemento o sedimentati nella diffidenza tra etnie diverse; in particolare nel caso del corto egiziano, fino a quel momento un buon film realista come tanti, l’intervento finale della bambina dà all’opera un senso beffardo e irriverente, arricchendola.
I bambini sono protagonisti anche in Maradona’s Legs del palestinese Firas Khoury, quasi una “commedia di formazione” ambientata nel corso dei mondiali di Italia ‘90. Sullo sfondo riecheggiano le prese di consapevolezza e la rabbia di un popolo, evidenti tanto quanto distanti il giusto da non far perdere la centralità delle condizioni intime e dei desideri dei due giovani fratelli calciofili. Il film riesce anche a rendere con efficacia il valore simbolico e iconico del calcio, di come il suo impatto possa andare ben oltre la pura arte pedatoria.
Questi sono tutti film che in qualche modo si rifanno ad un certo – semplificando – realismo di fondo. Quasi surreale e circense, e cattivello nei confronti della chiusura mentale della società, è invece Sukar del marocchino Ilias El Faris, una storia d’amore tra due adolescenti ambientata su una spiaggia, dove avvengono incontri e scontri paradossali e quasi slapstick. Trascende il realismo anche il francese Olla di Ariane Labed, durissima e sarcastica – ma non cinica – cronaca di una ribellione e di una fuga da un contesto famigliare asettico, chiuso e nella sostanza becero e cattivo, perfettamente reso da una regia, distaccata ma non algida, estremamente consapevole nel rendere “significante” il lavoro sulle geometrie, sui colori e sugli spazi dell’inquadratura. Forse, il film migliore della sezione.
Dai ghigni acri dell’ottimo film della Labed alle emozioni più calde di À la mer poussière della francese Héloïse Ferlay, un film d’animazione in stop motion con protagonisti pupazzetti di lana e validissimo esempio di quella corrente dell’animazione francofona “emozionale”, evocativa e sperimentale: si veda l’utilizzo della materialità della lana nel trasmettere stati d’animo ed emozioni.