I fattori dello scacco
Distribuita da Netflix il 28 ottobre e rimasta per più di un mese in vetta alla classifica dei titoli più visti della piattaforma, La regina degli scacchi è una miniserie che deve il suo successo a diversi fattori estetici e narrativi, a cominciare da uno script che unisce un soggetto apparentemente insolito, degli sviluppi drammaturgici già battuti e alcuni richiami alla contemporaneità.
Tratto dal romanzo omonimo di Walter Travis, il titolo in questione racconta la storia di Elizabeth, una ragazza povera e sola che negli States tra la fine degli anni Cinquanta e i Sessanta riesce in pochi anni a diventare una campionessa di scacchi di livello mondiale, nonostante la sua dipendenza da alcol e psicofarmaci.
Anche se al cinema e in televisione si sono raramente viste donne scacchiste e la vicenda di Elizabeth può quindi sembrare insolita e originale, in realtà siamo di fronte a una tipica storia incentrata sul sogno americano (l’outsider che riesce a raggiungere grandi mete con le sue sole forze) e sul tipico personaggio talentuoso nel quale convivono genio e sregolatezza, doti sorprendenti nel proprio campo e grandi debolezze nella vita privata e quotidiana. Tutti elementi narrativi molto classici e tradizionali che l’opera riesce però ad adattare a una sensibilità più moderna e contemporanea, affrontando tematiche come il femminismo (Elizabeth è una donna che deve farsi strada in un mondo maschile), l’eguaglianza etnica (si pensi all’accenno alla lotta per i diritti civili) e la messa in discussione dell’istituzione familiare, qui rappresentata dai disfunzionali genitori adottivi della protagonista.
Ma i punti che davvero esaltano tutto il potenziale della vicenda e che rendono la serie alquanto efficace si trovano nell’interpretazione della brava e carismatica Anya Taylor-Joy e, soprattutto, nel modo dinamico e coinvolgente con cui vengono riprese le partite a scacchi. La regia, infatti, riesce nella non facile operazione di rendere avvincente e spettacolare un gioco di per sé statico e fondato sul ragionamento attraverso soluzioni semplici ma incisive, come un ottimo uso del campo/controcampo (lo scambio di sguardi tra gli sfidanti indica l’andamento della partita), dei dettagli (la suspense è scandita anche dai diversi stacchi su pedine, lancette dell’orologio, ecc.) e da una buona gestione dei tempi, sempre funzionale al grado di tensione che s’intende di volta in volta trasmettere. Tutto ciò in un’opera non priva di forzature tematiche e scivoloni estetici (gli scacchi sul soffitto), ma che grazie all’unione tra una scrittura efficace e una messinscena puntuale, tra schemi tradizionali e riferimenti contemporanei, ha saputo esaltare tutte le sue potenzialità emotive e spettacolari, appassionando così un buon bacino di spettatori.
La regina degli scacchi [The Queen’s Gambit, USA 2020]. IDEATORI Scott Frank, Alan Scott.
CAST Anya Taylor-Joy, Bill Camp, Marielle Heller, Thomas Bordie-Sangangster, Moses Ingram, Harry Melling, Isla Johnston, Christian Seidel, Rebecca Roo.
Drammatico, durata 46-68 minuti (episodio).