La forma di un classico
Il regista di Seopyeonje, Im Kwon-taek, è stato per molti appassionati la scoperta di una nazione, di un mondo cinematografico: prima della grande ondata di registi sudcoreani dall’inizio degli anni ’10 a oggi, l’unico regista che era riuscito a superare le soglie della cinefilia più pura era proprio Im, soprattutto quando, nel 2002, vinse il premio per la miglior regia a Cannes con Ebbro di donne e di pittura.
Seopyeonje è uno dei suoi film più celebrati e amati e, in un certo senso, è legato al film dedicato al pittore Jang: i protagonisti sono una famiglia di artisti di pansori – un genere di narrazione musicale tradizionale – capeggiata da un padre frustrato per la perdita di popolarità della forma d’arte amata e custodita. Nonostante questo, insegna ai figli come cantare e suonare il tamburo, ma il difficile rapporto con l’arte segnerà le loro vite.
Scritto dal protagonista Kim Myung-gon, Seopyeonje è un dramma familiare e musicale che segue un doppio binario, in cui però gli interscambi sono moltissimi: in superficie, Im racconta l’evolversi, o il degradarsi, tra gli anni ’60 e il presente, di una forma d’arte, il rapporto tra le forme classiche e l’avanzare della modernità, che diventa anche una presa di posizione forte verso il cinema sudcoreano, dominato dal cinema USA – di cui anche i film autoctoni, spesso, sono una rilettura -, contro il quale il regista sembra rivoltarsi, cercando di riaffermare con lo stile la radice orientale, indigena del suo cinema. In profondità, Im scava dentro quelle radici e ne rivela un lato doloroso, violento, torbido, in cui la classicità e la tradizione rivelano un lato oscuro: il rapporto familiare violento e tossico tra il padre e i figli, che culmina nella cacciata del figlio maschio, è un modo per l’autore di riflettere sul senso politico dell’arte, su cosa si nasconde dietro un mondo fatto di forme, regole, costruzioni estetiche e culturali. Im lega questi due piani con il filo sottile e saldissimo dello stile filmico: per esempio, la lunga inquadratura fissa in cui i due fratelli ballano su una canzone di musica “leggera” è un modo per raccontare tanto lo svilimento commerciale della musica – il punto di vista del padre – quanto la voglia di libertà dei fratelli. La modernità e l’influsso americano distruggeranno un patrimonio, ma dietro quel patrimonio c’è un modo di intendere famiglia e società che il tempo rende obsoleto. La compostezza formale, anche dentro luoghi e situazioni via via sempre più cadenti, è un segno della vitale ambiguità con cui Seopyeonje conduce il suo discorso, portandolo a un magnifico finale, in cui il film mostra la sua forma definitiva e quindi straziante: un canto pansori attraverso le immagini.
Seopyeonje [Corea del Sud 1993] REGIA Im Kwon-taek. CAST Oh Jeong-hae, Kim Myung-gon, Kim Kyu-chul. SCENEGGIATURA Kim Myung-gon. FOTOGRAFIA Jeong Il-seong. MUSICHE Kim Soo-chul. Drammatico, durata 112 minuti.