Bisogna morire
Torrida estate, nella periferia romana. Le vite di tre famiglie sono ammantate da una comune coltre di normalità, che copre rabbia, disagio e risentimento. Mentre il mondo degli adulti sembra segnato da un’infinita tristezza, quello dei ragazzi è costellato di piccoli grandi eventi, dove trovano ancora spazio curiosità e libertà. Ma in un contesto in cui tutto crolla, famiglia in primis, sono proprio i giovani a subire le conseguenze più devastanti.
Una storia vera ispirata a una storia falsa. “Una favola nera ambientata nella provincia romana, tra la malinconica litoranea brutalmente costruita ed una campagna che è stata palude. Una piccola comunità di famiglie, i loro figli adolescenti, la scuola. Un mondo apparentemente normale dove, silente cova il sadismo sottile dei padri”.
Gli intenti dei fratelli D’Innocenzo, al secondo lungometraggio dopo il bel La terra dell’abbastanza (2018), sono già chiari in queste righe da loro redatte per la presentazione del film e anche nelle parole – «La storia vera è ispirata a una storia falsa. La storia falsa non è molto ispirata» – di quel narratore onnisciente che, nel film, ha la voce di Max Tortora. Il “C’era una volta…” non preannuncia nessuna rivisitazione romantica della storia – vedi Tarantino – e nemmeno l’ingresso in un mondo fantastico – vedi Mattotti e i suoi orsi siciliani -, bensì certifica la separazione tra due mondi, quello degli adulti e quello dell’adolescenza, in un contesto dove anche i desideri più piccoli e beceri, come una piscina gonfiabile comprata in offerta, devono essere sacrificati sull’altare delle peggiori pulsioni umane.
Nonostante l’estetica e l’etica della provincia siano alla base di una quantità infinita di titoli, raramente il cinema italiano contemporaneo ha affondato, con così tanta precisione, il colpo nel ventre del Paese. Finalmente si capisce che la questione non è cosa raccontare, ma come, che il mistero di un personaggio – interpretato da Elio Germano – disoccupato, ma capace di permettersi una villetta con giardino e di buttare via il cibo, deve restare precluso, per conservare il suo afflato disturbante, che il crollo della famiglia avviene attraverso improvvisi esperimenti di realtà – la sequenza della cena resta una delle epifanie più potenti viste da qualche anno a questa parte -, il più grande e inaspettato dei quali è la morte. Simbolo di questa deriva è il linguaggio sporco, a tratti inintelligibile, con cui gli adulti cercano invano di rompere il mutismo selettivo dei figli, non rendendosi conto di esserne la causa. Si dirà che, più che merito dei D’Innocenzo, è colpa di un suono in presa diretta poco curato, ma riguardate Amarcord di Fellini e contate le parole che si perdono. Il cinema è, pur sempre, un medium visivo.
Favolacce [Id., Italia 2020] REGIA Damiano e Fabio D’Innocenzo.
CAST Elio Germano,Tommaso Di Cola, Giulietta Rebeggiani, Gabriel Montesi, Justin Korovkin.
SCENEGGIATURA Damiano e Fabio D’Innocenzo.
FOTOGRAFIA Paolo Carnera.
MONTAGGIO Esmeralda Calabria.
Drammatico, durata 98 min.