Atlantis e Blanco en blanco: gli orizzonti dello sguardo
Gli orizzonti di un futuro post-post sovietico fatto di rovine, fisiche e urbane, e gli orizzonti immensi e gelidi della Terra del Fuoco colti da pionieristiche fotografie. Scusate il gioco di parole, ma la sezione Orizzonti della 76. Mostra d’Arte Cinematografica di Venezia ha visto premiati due film in cui l’orizzonte gioca un ruolo ben preciso, invitando lo sguardo a posarsi su di esso per cogliere i segnali del passaggio dirompente della storia: Atlantis dell’ucraino Valentyn Vasyanovych, vincitore della sezione, e Blanco en blanco del cileno Théo Court, il quale ha alzato il premio per la miglior regia.
Atlantis è una sottile e realistica distopia che immagina, raccontando il percorso di un ex soldato vittima di stress post traumatico, un futuro prossimo in cui una guerra tra Russia e Ucraina ha creato una sorta di zona “non luogo” grigia, morta, post-qualunque cosa e plausibilissima nell’immaginare quali strade possano partire dal presente. Lunghe sequenze a macchina fissa, ma capace di muoversi e di scatenarsi raggiunti i climax emotivi e drammatici, realizzano una sorta di tableau vivant in cui le azioni dei personaggi vengono osservate come in presa diretta, e in cui, con un sagace utilizzo della profondità di campo e della totalità dell’inquadratura, emergono dettagli e particolari, del paesaggio come dei comportamenti, decisivi e significativi. Siano le azioni il lavoro in fabbrica, un’autopsia, una discussione sul futuro del lavoro, una chiacchierata con la nuova collega o il ritrovamento dei cadaveri di soldati, molti di questi tableaux vivants creano una tensione che esplode nelle già citate e improvvise parentesi stilistiche più movimentate, e soprattutto costruiscono un’estetica plumbea, allucinata anche se dominata dal grigio, a metà strada tra il naturalismo e la rielaborazione quasi metafisica. Vasyanovich, così, evita le secche dell’abusata staticità di sguardo e del realismo più ovvio per realizzare un film potente, paradossalmente pure visionario, che riflette, aggiornandole, sulle potenzialità di sguardo delle scelte stilistiche utilizzate.
In Blanco en blanco, l’esordiente Court si nutre del cinema di Larrain (la mediocrità del male più intimo e nascosto di Post mortem), Corbet (la metafisica della storia di Infanzia di un capo) e Paul Thomas Anderson (il racconto di tragiche e gigantesche figure de Il petroliere) per una dura e sconsolata riflessione sulle origini della modernità e della nazione cilena. Un fotografo raggiunge la Terra del Fuoco per immortalare il matrimonio del signorotto locale con una ragazza giovanissima, e, oltre a rimanere attratto dalla poco più che bambina novella sposa, assiste, in questa zona di frontiera senza regole, al massacro delle popolazioni indigene locali, partecipando con tutta la sua mancanza di empatia e con tutto il suo egocentrico disinteresse. Il film, come lo splendido finale conferma, è in qualche modo il ritratto di un complice, di un protagonista della maggioranza inerme e distaccata. Anche qui, grazie – per esempio – alla fotografia che vira sui neri e sugli scuri giocando così sull’impossibilità del protagonista di agire e capire davvero, o ai campi lunghi che più che spiegare la narrazione la interrompono, dando così l’idea di qualcosa di decisivo che sfugge alle nostre possibilità, assistiamo ad una cornice che assume i toni della metafisica, del distacco dal resoconto realista: da un lato c’è la distaccata e ancestrale potenza del paesaggio, dall’altro l’assenza quasi totale dal campo visivo del signorotto padrone delle cose, una sorta di maligna divinità onnipresente nella sua invisibilità. Il potente e spietato Blanco en blanco, in questo modo tradisce il resoconto e scava in profondità nei meandri più sottili della Storia che avanza nutrendosi tanto della malvagità violenta di qualcuno, quanto del disinteresse apatico di altri.
Atlantis [id., Ucraina/Belgio 2019] REGIA Valentyn Vasyanovych.
CAST Andriy Rymaruk, Liudmyla Bileka, Vasyl Antoniak.
SCENEGGIATURA Valentyn Vasyanovych. FOTOGRAFIA Valentyn Vasyanovych.
Drammatico, durata 106 minuti.
Blanco en blanco [id., Cile/Spagna/Francia/Germania 2019] REGIA Théo Court.
CAST Alfredo Castro, Lars Rudolph, Lola Rubio, Esther Vega, Alejandro Goic, Ignacio Ceruti.
SCENEGGIATURA Théo Court, Samuel Delgado. FOTOGRAFIA José Alayón. MUSICHE Jonay Armas.
Drammatico/Storico, durata 100 minuti.