Lo spazio, l’uomo
Mentre sta controllando il funzionamento della torretta di una stazione orbitante, il maggiore Roy McBride viene investito da una potentissima onda elettrica proveniente da un punto indefinito dello spazio aperto. Sopravvissuto per miracolo, riceve l’incarico di raggiungere la sorgente delle onde, localizzata nell’orbita di Nettuno, per bloccarle. In quella stessa zona del sistema solare, 16 anni prima, il padre di Roy era scomparso nel tentativo di sondare l’esistenza di altre forme di vita intelligente.
I film sullo spazio sono quasi sempre film sull’umanità terrestre e la ricerca di altre forme di vita cela, sovente, la speranza di essere soli e unici. James Gray (Civiltà perduta, Little Odessa) parte da un dettaglio, dalla voce-off del protagonista che chiede, come unica condizione alla garanzia di fedeltà e professionalità, di non essere toccato. La tuta da astronauta lo protegge, isolandolo dal mondo esterno. Non c’è spazio per niente che possa compromettere la sua stabilità psico-fisica, in particolare i sentimenti.
La possibilità di un nuovo contatto con il padre che aveva perso – e che, in sostanza, è la ragione di quel rifiuto a esporsi, di quella chiusura totale nei confronti della vita al di fuori della tuta – apre un wormhole emotivo che può essere studiato solo dall’interno, solo raggiungendo la fonte di quelle scariche di onde elettriche che stanno creando non pochi problemi sulla Terra. Come a dire, in termini leopardiani, che non si può immaginare un pianeta felice composto da una moltitudine di esseri infelici e soli, e che nemmeno la promessa di nuovi mondi da scoprire o colonizzare è sufficiente, di per sé, per soddisfare bisogni sempre maggiori ma sempre uguali (vedi l’insediamento lunare, immaginato da Gray come una Las Vegas che spicca in un deserto di crateri, occupato da pirati motorizzati). Il viaggio di Roy McBride procede in avanti ma a ritroso, nel migliore dei paradossi spazio-temporali, cioè verso i limiti del sistema solare alla riconquista di una persona che è viva solo nel suo passato.
Al di là delle straordinarie sequenze spaziali – su tutte le immagini a picco sulla Terra della prima stazione orbitante – Ad Astra è un film sullo spazio nella misura in cui ragiona sull’esistenza di altre forme di esseri dotati di coscienza, ma questo obiettivo implica la possibilità che l’altro non esista e quindi l’accettazione, scientifica ma anche profondamente umana, non di un fallimento ma dei propri limiti. Non vogliamo essere toccati dai nostri colleghi di lavoro ma cerchiamo la vita oltre Nettuno, pensiamo di non aver bisogno di nessuno ma allunghiamo una mano per essere salvati. Attraverso le avversità, verso le stelle, per aspera ad astra.
Ad Astra [id., USA/Brasile 2019] REGIA James Gray.
CAST Brad Pitt, Tommy Lee Jones, Ruth Negga, Liv Tyler, Donald Sutherland, John Ortiz.
SCENEGGIATURA James Gray, Ethan Gross. FOTOGRAFIA Hoyte van Hoytema. MUSICHE Max Richter.
Fantascienza, durata 124 minuti.