38° Premio “Sergio Amidei”, 18 – 24 luglio 2019, Gorizia
La pienezza del silenzio
Inquadrature si ripetono, simili ma mai uguali: come la natura nelle stagioni. Piedi che si arrampicano, zampe, zoccoli, erbe calpestate, pietre degli stessi sentieri. Poche volte si perde la strada – perché gli animali sanno –, così come il film che, non evolvendosi, non progredendo, percorre cicli, tratti di un grande cerchio chiamato vita di allevatrici.
Esso più che di una freccia scoccata ha il carattere di un vasto ricamo geometrico dove in figure tutte teoricamente uguali la manualità, con l’esperienza, induce una differenza, un “errore” che rende unica ciascuna. Così le storie di donna, raccontate da Anna Kauber tracciano disegni differenti, ma strettamente intrecciati tra loro. L’insieme visto dall’alto – dove l’alto è la fine del film e la sequenza che ai volti collega i nomi e l’origine – è una mappa e quasi un paradigma. Una mappa, geografica e sentimentale, che fin lì si era tentato, quasi giocando, di indovinare; un paradigma di reazioni sociali a caratteri tenaci di donne, che scegliendo di essere pastori affrontano l’inattualità con le armi della bellezza e dell’empatia. Le loro parole sono dirette, a volte scarne, ma sempre alte, cariche come sono della dedizione quasi vocazionale al loro fine. La percezione che hanno di sé è lucida e priva di retorica: si parla di soldi, di schifo, di malattie, di liquidi interiori, ma anche di comunione con gli animali, di giuste distanze affettive, di nomi affezionatissimi. Alle loro interviste il suono di ogni pascolo e gli orizzonti percorsi offrono un fondale omogeneo, come un bordone musicale a cui le voci di volta in volta si aggiungono. Le strutture sono brevi, poche parole lasciano tutto lo spazio al silenzio che non è qui solo assenza di rumori, quindi vuoto – il passaggio di un gregge è rumorosissimo – bensì un silenzio che è un pieno di attesa e contemplazione. Così ogni piccola dichiarazione è una pietra scolpita, un tassello intagliato di un mosaico reso vivo dalle variazioni tonali: essere pastori – ed esserlo da donne – è un lavoro di ostinazione. A costoro la Kauber dedica un’elegia visiva e sonora, che raggiunge il suo acme, cercato e ottenuto, nella sequenza del violino suonato per il gregge, per un pubblico di alberi e prati, per il risuonare delle valli.
Essere sé e nient’altro, questo insegnano gli sguardi austeri ma carezzevoli delle protagoniste, sguardi abituati ad un altrove e che vengono da quell’altrove che, pure, il titolo sottolinea, è in questo mondo. In questo mondo e fuori da esso, contemporaneamente, come la logica degli animali, severa e imprendibile. Se all’opinione delle donne pastori non viene opposto nulla – non una voce maschile, non una voce esterna a quel mondo e a quella vita – è proprio per questa inconfrontabilità: le premesse da cui partirebbero le due parti sarebbero inconciliabili e, in sostanza, parlerebbero di cose differenti pur usando le stesse parole. Basti l’irruzione, nel racconto, di quelli che chiedono loro: «come fate a mangiare la carne degli animali che avete amato?», la risposta è spiazzante e assoluta: «è la miglior carne che si può mangiare». Quasi una restituzione di amore, un’offerta di sé stessi, un ringraziamento raffinatissimo.
In questo mondo [Italia 2018] REGIA Anna Kauber.
SCENEGGIATURA Anna Kauber. MONTAGGIO Esmeralda Calabria. MUSICHE Valerio Faggioni.
Documentario, 97 minuti.