(R)esistere come individui
La bellezza e la morte si lasciano spesso influenzare, talvolta si attraggono e si trascinano in una lunga decadenza senza soluzione, un arbitrario oblio senza giustizia risucchia le vicende umane, ma le poche preziosissime volte che c’è qualcuno a tenere una luce su un frammento di storia, su un ricordo, per brevi istanti scintilla una bellezza sublime.
L’ “afterimage”, traduzione del titolo originale polacco Powidoki – da noi, con Il ritratto negato, il senso si perde –, è l’immagine residua, quel fenomeno ottico per cui un contrasto di luminosità o di colori particolarmente intenso, lasciando tracce di sé, altera la percezione ottica negli istanti successivi. Ma per Wladyslaw Strzeminski, pittore polacco della prima metà del ‘900, l’afterimage non è un difetto, ma è l’immagine stessa del ricordo: è l’impressione lasciata da un luogo, è un discorso aperto con la realtà, di cui percepiamo solo ciò che ci interessa o ci attrae.
Questo residuo è il diritto di ciascuno all’individualità, e riconoscerlo è dichiararsi unici e per questo liberi. Unico e libero è stato Wajda, che ha chiuso con quest’opera malinconica la sua esistenza di “cittadino del Cinema” lasciando dietro di sé un’immagine residua netta e decisa, che ha le fattezze del suo paese. Le crepe nascoste della Polonia nei suoi film sono diventate arterie pulsanti di una visione tutta umana, disincantata e allo stesso tempo profondamente utopista.
Lo sguardo dell’ultimo protagonista di Wajda, il Professor Strzeminski, sembra sovrapporsi al suo: è fiero, audace, sicuro, guarda lontano sapendo bene qual è la direzione. Prima voce altisonante della rivoluzione e poi artista rifiutato ovunque, cui è vietato anche vendere le tempere, la parabola di Strzeminski è quella dell’illusione socialista. Nelle prime immagini è vitale, gioioso, creativo, pieno di ardore mentre espone ai suoi allievi la sua teoria della visione. Wajda costruisce due inquadrature contrapposte in cui dall’orizzonte inclinato si avvicinano dei ragazzi, si stanno radunando nella natura primaverile in nome della bellezza, il professore compare rotolandosi lungo il pendio: sono immagini magistrali, in cui l’incontro è anche formale, in una geometria di movimenti convergenti. Ma tanta libertà è spenta nella scena successiva, nell’istante in cui il pennello sta per poggiarsi sulla tela la stanza del pittore diventa rossa, un’enorme bandiera staliniana viene issata sul palazzo: ogni individualità è costretta a “tingersi”, chi prova ad aprirsi una finestra e a guardare nel mondo coi propri occhi è condannato alla non-esistenza, all’immobilità disumana, raffigurata in modo sopraffino da Wajda nella morte di Strzeminski tra i manichini rotti di una vetrina che nessuno guarda. È una morte bella, disperata ma bella nel suo lasciare qualcosa di non finito, di non concluso: una strada aperta come quella su cui Wajda ha camminato.
Il ritratto negato [Powidoki, Polonia 2016] REGIA Andrzej Wajda.
CAST Boguslaw Linda, Bronislawa Zamachowska, Zofia Wichlacz, Krzysztof Pieczynski.
SCENEGGIATURA Andrzej Mularczyk. FOTOGRAFIA Pawel Edelman. MUSICHE Andrzej Panufnik.
Biografico, durata 98 minuti.