La disperazione tramite il grottesco
Per esprimere il suo pessimismo nei confronti dell’uomo e della società, Rainer Werner Fassbinder ha spesso rielaborato e raffreddato i canoni del melodramma sirkiano senza rinunciare al tempo stesso a occasionali incursioni nel grottesco e nel beffardo, come dimostra La terza generazione, film ispirato ai fatti terroristici avvenuti nella Germania Ovest degli anni Settanta.
Divisa in sei capitoli, l’opera in questione vede al centro un gruppo di terroristi che intende compiere un attentato e sequestrare un potente imprenditore di computer, il quale sembra però consapevole dell’esistenza di tale progetto. Anche se presente, qui l’intreccio narrativo ha uno svolgimento così ondivago e “distratto” da risultare decisamente meno importante rispetto all’ampia descrizione del gruppo rivoluzionario, delineato come smarrito, ingenuo, poco ideologizzato, e quindi controllabile e manipolabile. In tale prospettiva, non è un caso che i singoli membri della cellula – e coloro che gli girano attorno – siano spesso disperati (si pensi alla tossicodipendente, al disoccupato o alla borghese frustrata) o culturalmente arretrati (basti citare il forte maschilismo di Paul).
Un affresco, quello appena descritto, tanto disilluso quanto irridente, che contribuisce a portare avanti una tagliente riflessione sul terrorismo e sulla sua inconsapevole funzione di rafforzamento del potere costituito. Una constatazione che non si deduce soltanto dal comportamento maldestro del gruppo, ma anche dal dialogo in cui si afferma che sono gli stessi capitalisti a inventare il terrorismo per costringere lo Stato a difendere i loro interessi e dalla sequenza grottesca del rapimento, nella quale l’industriale si fa sequestrare sghignazzando da delle persone che indossano maschere carnevalesche. Eppure come dimostrano le squallide frasi che scandiscono i sei capitoli della pellicola e le varie figure umane che l’attraversano, il cineasta tedesco parte dal terrorismo per realizzare un ritratto più ampio del proprio Paese, visto come misero e smarrito, in preda alla disperazione, al vizio, a un ultraconservatorismo difficilmente estirpabile.
Il tutto portato avanti con toni sarcastici e uno stile volutamente sgradevole, soprattutto per il particolare uso del sonoro, che contrappone fortemente le musiche e le voci registrate ai dialoghi dei personaggi, trasmettendo un’atmosfera straniante e dando l’impressione che i protagonisti siano continuamente monitorati da forze terze e invisibili. Elementi che rendono La terza generazione uno dei film più ostici e amari di Fassbinder, che qui sostituisce le lacrime dei suoi melodrammi con un ghigno beffardo e irridente.
La terza generazione [Die Dritte Generation, Repubblica Federale Tedesca 1979] REGIA Rainer Werner Fassbinder.
CAST Claus Holm, Harry Berar, Hark Bohm, Margit Carstensen, Raúl Gimenez.
SCENEGGIATURA Rainer Werner Fassbinder. FOTOGRAFIA Rainer Werner Fassbinder. MUSICHE Peer Raben.
Drammatico/Grottesco, durata 104 minuti.