72° Festival de Cannes, 14 – 25 maggio 2019, Cannes
Torta di vita
Secondo Hitchcock, il cinema doveva essere una fetta di torta e non una fetta di vita, come teorizzava il neorealismo o il cinema verità. Evidentemente per Abdellatif Kechiche il cinema non è una sola fetta di vita, ma l’intera torta con tutto ciò che di gustoso o noioso, esplosivo o stucchevole c’è dentro. L’Intermezzo tra il Canto uno e il Canto due di Mektoub My Love cerca proprio di radicalizzare ed estremizzare il naturalismo della messinscena del regista e del suo precedente film.
Lo fa concentrandosi sulla tanto criticata sequenza della discoteca che qui diventa il corpus di quasi l’intero film: sta per finire l’estate; Amin sta per tornare a Parigi dopo aver lasciato l’università; Ophelie è incinta ma non ama il padre del bimbo; una nuova ragazza, Marie, è entrata nel gruppo. Durante le 3 h e 28’ (montaggio provvisorio) del film, Kechiche – alla sceneggiatura con la compagna Ghalia Lacroix – si concentra ossessivamente sugli elementi che avevano attirato le critiche del Canto uno: il martellante oscillare tra musica da discoteca, inquadrature dei corpi in movimento, parole che oltre a porre in gioco i minimi spostamenti drammaturgici diventano un modo per continuare a riflettere sul desiderio fisico e la giovinezza, a cui fanno da ironico controcanto i personaggi degli zii.
Come a voler provocare soprattutto i suoi detrattori, Kechiche fa di questo Intermezzo «un esercizio libero, non un film» (parole sue in conferenza), un blocco di appunti stilistici in cui esaspera gli elementi di quella sequenza e ne fa il materiale di un film intero che gioca chiarissimo fin da subito. Comincia infatti con Amin che fotografa la sua compagna estiva, Charlotte, nuda, e prosegue più avanti con lo zio che gli dice «Vivi, invece di guardare». Per Amin il guardare è tutto, ma è anche il segno di un’impotenza legata al luogo, alla Sète vitalistica ma bloccata nella coazione a ripetere: Kechiche cerca di trasmettere questa coazione proprio attraverso la durata e la reiterazione. 160’ circa in discoteca, intervallati dalla già discussissima sequenza del cunnilingus non simulato: lo spettatore frastornato dal suono e dallo spettacolo carnale si sente minuto dopo minuto sempre più estraniato esattamente come Amin che per fuggire da quella magnifica prigione deve restare passivo per poi andare via.
Intermezzo è cinema ipnotico e contemplativo, quanto di più vicino al documentario di osservazione sia stato fatto nel cinema a soggetto, che gioca radicalmente sulla dinamica degli sguardi, sul paradosso sacro dell’eros e della scopofilia. E anche se limitato, forse, dalla forma scelta, Kechiche mette lo spettatore al centro della scena, lo rende partecipe delle scene corali, annulla le separazioni tra personaggi e persone e riesce a rendere le sfumature e le sensazioni. Anche in film così “inaccessibili”.
Mektoub, My Love: Intermezzo [id., Francia 2019] REGIA Abdellatif Kechiche.
CAST Shain Boumedine, Ophélie Baufle, Salim Kechiouche, Lou Luttiau, Alexia Chardard, Marie Bernard.
SCENEGGIATURA Abdellatif Kechiche, Ghalia Lacroix. FOTOGRAFIA Marco Graziaplena.
Drammatico, durata 208 minuti.