Le commedie di transizione di Stanley Donen
L’orizzonte tipico della commedia romantica statunitense, seguendo le riflessioni ormai radicate di Stanley Cavell nel suo celebre saggio Alla ricerca della felicità. La commedia hollywoodiana del rimatrimonio, è la ricerca della felicità, effettiva, sudata, parodiata, ambigua, folle, liberatoria, consapevole o amarognola.
Complessivamente, nelle commedie screwball o sophisticated o un po’ entrambe le cose degli anni Trenta, il decennio per antonomasia più “classico” e brillante del genere, il caos creato dalle irruzioni della follia screwball nell’impianto della guerra di posizione tra sessi in qualche modo decifrava i sommovimenti di un decennio di passaggio, trasformazione e rinascita. È una commedia che nasce con gli effetti della grande depressione ancora in atto e accompagna la ripresa e i mutamenti del paese, nella quale spesso la donna è “Dea ex machina” e l’uomo inconsapevolmente burattino, oppure nella quale i confini tra ricchi e poveri iniziano a mostrare qualche crepa, per quanto i soffitti fossero lucenti e raffinati.
Nel suo decennio d’oro, il genere era in qualche modo caratterizzato da un movimento: era nella sostanza “inquieto” e talvolta in certi casi di sofisticated comedy pure vagamente decadente. La classicità del genere era quindi dovuta all’equilibrio che nei casi migliori quella commedia otteneva giostrandosi tra la frivolezza di superficie e la sostanza più agitata, tra l’esposizione di realtà, figure e ambienti sociali da sogno e le crepe che questi mostravano, tra l’essere rassicurante e l’intercettare sommovimenti in atto.
Negli anni Cinquanta la commedia statunitense viveva al contrario quello che probabilmente è stato il suo decennio più statico, non riuscendo complessivamente a trovare un posto di primo piano nell’ecosistema dei generi del, per così dire, “tardo classicismo”. Legittima è la riflessione per la quale i sottili cambiamenti e le vaghe inquietudini connesse in atto negli anni Trenta, vent’anni dopo erano diventati palesi e necessitavano di un approccio più diretto (la fantascienza paranoica e il melodramma eccessivo e dolente), così come ha probabilmente pesato il definitivo affermarsi di una piccola media borghesia la cui felicità appariva decisamente più a portata di mano e raggiungibile. Fatto sta che la commedia statunitense è diventata complessivamente meno folle e cattiva, e più rassicurante, addomesticata e accomodante. La screwball, recuperi di Hawks a parte, quasi sparisce, così come si riducono gli incontri e gli scontri tra classi sociali differenti. Si vedano, e si paragonino – mettiamo – a Susanna, i film con Doris Day protagonista o anche opere più divertenti e riuscite quale l’ottimo Il padre della sposa di Vincent Minnelli. O si paragoni la fuga dell’addomesticato e finto Vacanze romane a quella dell’acuto e “realista” Accadde una notte. C’era sì Billy Wilder che, aggiornando la centralità della finzione lubitschiana, iniziava a fare la pulci all’uomo qualunque middle class, quasi inventando la “commedia di costume” nel cinema statunitense, così come numerosi sono i grandi film che vere commedie non sono, ma che dalla commedia decisamente si nutrono (da Eva contro Eva a La contessa scalza a Intrigo internazionale). In generale però, il recupero statico degli schemi classici testimoniava un decennio di transizione, spesso con risultati sì piacevoli ed eleganti tanto quanto frivoli e un po’ fuori dal tempo e dal mondo. Come fossero il risultato di una sorta di iconicizzazione della parte più illusoria e superficiale della commedia classica, con film che, tornando a Cavell, rappresentavano la felicità, ma non intercettavano la complessità che poteva esserci dietro.
È in questo contesto che Stanley Donen dal musical passa alla commedia e compie un processo che accompagna il genere ad una nuova maturità. Del resto, già Cantando sotto la pioggia era anche una grande commedia con cui Hollywood rifletteva sulla propria storia e sulla propria capacità mitopoietica. A fine decennio Donen realizza due film che in qualche modo diventano emblematici di questa sospensione del genere. Indiscreto (1959) è una raffinatissima e romantica senza essere sdolcinata commedia sofisticata in cui i dialoghi serrati e maliziosi sono però privi di reale cattiveria, e dove tutto si svolge in un’alta società priva di sfumature e contrasti. È un esempio, di livello alto, di calco degli elementi più esteriori e immediati di un modello. Solo in parte lo stesso discorso può essere fatto per l’ancora canonico L’erba del vicino è sempre più verde (1960), dove i dialoghi esilaranti e elegantemente perfidi colpiscono, per esempio, l’utilitaristica mentalità economica dominante, e dove i contrasti dovuti alle diverse realtà dei quattro protagonisti danno un’idea di maggior dinamismo.
È negli anni Sessanta che Stanley Donen getta sul tavolo le sue carte vincenti per lo sviluppo del genere. Nel 1963 con Sciarada e soprattutto nel 1967 con Due per la strada. Il primo è una spumeggiante e sardonica spy comedy dalla notevole cura formale e delle inquadrature (si vedano i volti inquadrati dal basso che rendono la paura delle protagonista e seminano dubbi sui personaggi), dove la verità sembra non emergere mai, e di conseguenza anche la felicità rimane un miraggio. Di chiara ispirazione hitchcockiana, non ci troviamo più di fronte ad un calco, ma ad una rilettura dalla forte personalità non così lontana da certe produzioni – vedi Bogdanovich – dell’imminente nuovo cinema statunitense. È però con lo struggente e amaro Due per la strada che Donen, per così dire, innesta nella commedia una forte dose di realismo, nelle ambientazioni, nei sentimenti e nelle psicologie; soprattutto, il resoconto di un matrimonio, giocato su più piani temporali fatti di ricordi e rimpianti, descrive la felicità della quale la commedia romantica statunitense è perennemente alla ricerca come definitivamente fugace, più consolatoria che effettiva e vaga, aprendo, nello stesso anno de Il laureato, la strada a quel filone di commedie più realiste, psicologiche ed esplicitamente amare.