Evoluzioni, balli, mutamenti e sciarade
Dopo lo speciale dedicato al cinema di Bertrand Mandico e al suo immaginario unico, questo mese approfondiamo un autore classico, continuamente citato e conosciuto, ma raramente davvero studiato e approfondito: Stanley Donen, recentemente scomparso all’età di 97 anni.
Secondo quel destino comune a molti registi del cinema statunitense classico, di cui semmai si sono analizzati i singoli capolavori mettendo in secondo piano uno sguardo più vasto sulla loro poetica e sul loro impatto complessivo, raramente il cinema di Donen è stato affrontato nella sua completezza. Stanley Donen non è stato solo un maestro del musical e della commedia autore di due o tre capolavori, ma anche di altrettanti film validissimi rimasti nel dimenticatoio della percezione comune (su tutti, È sempre bel tempo), e di altrettante opere minori ma interessanti, appunto, se inserite in un’ottica più vasta che abbraccia le tensioni e le evoluzioni della settima arte. Anche tenendo conto degli alti e bassi di un’intera carriera, il regista di origini inglesi è stato un protagonista dello sviluppo del cinema statunitense classico nella fase di transizione dal classicismo più tipico alla modernità, sia per quanto riguarda specificatamente i due generi principali di riferimento, sia, più in generale, per quanto riguarda i mutamenti e le evoluzioni della fabbrica dei sogni.
Partiamo dal musical. All’alba degli anni Cinquanta, il sodalizio con Gene Kelly ha prodotto il primo musical con sequenze che escono dagli studios ed entrano nel vero delle strade (Un giorno a New York); una delle prime riflessioni, rafforzata da un equilibrio raro tra parti musicali e non e con connotazioni quasi metacinematografiche, sulla storia e sulla capacità mitopoietica del cinema (Cantando sotto la pioggia); e un’opera, in contrasto con la tipica fluorescenza del genere musical, amarissima sul tempo e sulle illusioni che passano (È sempre bel tempo). Insieme a Sette spose per sette fratelli e ai lavori di Vincente Minnelli, sono questi tra gli ultimi grandi esempi di un genere che stava vivendo il suo ultimo decennio di vera centralità e sfruttamento, prima di diventare sempre più comparsa occasionale e sporadica nel sistema dei generi. Inoltre, sotto certi aspetti, alcuni dei primi grandi musical del cinema moderno sembrano approfondire proprio alcune delle suggestioni date dai lavori di Donen; per esempio, si può considerare Un giorno a New York come il primo passo del cammino che avrebbe portato ad un film come West Side Story.
Per quanto riguarda la commedia, il percorso di Donen è stato sotto certi aspetti ancor più emblematico. Seguendo la strada che unisce Indiscreto (1957) a Due per la strada (1967), possiamo vedere come film dopo film si radicassero sempre più elementi della commedia moderna. Se Indiscreto e in parte il più “cattivo” L’erba del vicino è sempre più verde erano ancora “film calco” della sophisticated comedy, esempi del decennio più statico della commedia statunitense, Sciarada al contrario è un’originalissima, anche sul piano formale, “commedia del matrimonio”, un gioco che destabilizza le fondamenta del realismo e una rilettura del cinema hitchcockiano dalla forte personalità, già simile a certe operazioni del nuovo cinema americano. Due per la strada invece immette nella ricerca della felicità tipica del genere una forte dose di realismo, ambientale e psicologico, di amarezza e di fugacità, anche in questo caso contribuendo a ciò che il genere sarà negli anni Settanta.
Un film minore, per quanto esilarante e riuscito, come la scatenata rilettura del mito di Faust in salsa “swinging London” che è Il mio amico il diavolo conferma, infine, come Donen fosse un cineasta capace di donare spessore a film leggeri e di aggiornare il proprio classicismo ai cambiamenti del tempo.
Assistiamo quindi, approfondendo la carriera e la poetica di Stanley Donen, a evoluzioni e mutamenti, talvolta più netti e talvolta più sotterranei. Questo speciale diventa quindi anche un’occasione per riflettere sulla Hollywood degli anni Cinquanta, la decade di graduale trasformazione del classicismo a stelle e strisce, perlomeno per come questo viene inteso nella sua percezione più diffusa, e soprattutto uno dei decenni più interessanti per come le paure maturate dal contesto e le condizioni dettate dalle realtà sociali, culturali e politiche abbiano assunto forme definite sulla celluloide.