La tragicommedia dell’Apocalisse
È difficile pensare a una versione del concetto di supereroi “danneggiati” che non abbiamo ancora visto, tra cinema e televisione. Ad ogni modo, dire che The Umbrella Academy sia anche remotamente simile ad altre serie sui supereroi sarebbe a dir poco fuorviante. Questa serie fa una cosa così radicalmente sua che è superfluo anche tentare di compararla ad altro.
La prima stagione di The Umbrella Academy comprime in dieci episodi il primo arco narrativo della serie di fumetti omonima, scritta da Gerard Way (conosciuto anche come il cantante del gruppo My Chemical Romance, ma ci torneremo dopo) e disegnata da Gabriel Bá. Nello stesso giorno del 1989, quarantatre bambini nascono da donne che non erano incinte. Un magnate ne adotta sette: sei di questi hanno poteri soprannaturali, e diventano un gruppo di vigilantes/supereroi. L’ultima, Vanya, cresce all’ombra dei fratelli. L’età adulta non tratta generosamente questo gruppo apparentemente destinato al successo: tutti sono più o meno danneggiati dalla crudeltà padre e dal loro passato, e i segni del proprio passato diventano difficili da gestire – soprattutto quando in ballo c’è l’Apocalisse.
Il primo pregio innegabile dello show è quello di muoversi con una fluidità ammirevole attraverso una quantità di avvenimenti che ad altri non sarebbe bastato il doppio degli episodi. Riesce poi anche a inserire la vasta mitologia del suo universo senza mai cadere nello spiegone, e avendo il coraggio di, ad esempio, avere uno scimpanzé che parla e si veste con il panciotto e non spiegare mai perché.
Mai avrei pensato che essere un’adolescente emo nei primi 2000 mi sarebbe tornato utile, ma se c’è una cosa che The Umbrella Academy mi ricorda, è proprio come l’iconografia dei My Chemical Romance centrasse lo stesso equilibrio tra serio e faceto, tra oscuro e paradossale. Nei loro testi e video musicali c’erano la morte e la depressione, ma anche le cameriere vestite di rosa e i grandi numeri musicali, e una vena di ironia che li separava già allora da altri gruppi la cui tetraggine era inespugnabile. The Umbrella Academy tratta letteralmente della fine del mondo, ma lo fa beandosi di quanto la vita sia tragicomica, e sguazzando nel trovare aspetti divertenti e grotteschi nei riferimenti pop e nelle situazioni al limite in cui i protagonisti si trovano.
Oltre ad essere un gioiello narrativo, questa serie è visivamente splendida. I costumi, i set, gli effetti speciali, creano un disseminato di riferimenti pop, ma altamente specifico. La colonna sonora dal budget apparentemente illimitato tira fuori di tutto, dai Queen a Nina Simone. Quello che per me rende The Umbrella Academy davvero speciale è che sotto tutto il sangue, i traumi infantili, le ossessioni, le botte da orbi, i litigi, concede ai suoi protagonisti di non cercare solo la vendetta, ma anche un po’ di riconciliazione e, possibilmente, di pace.
The Umbrella Academy [id., USA 2019] IDEATORE Steve Blackman.
CAST Ellen Page, Tom Hopper, Robert Sheehan, Emmy Raver-Lampman, David Castañeda, Aidan Gallagher, Mary J. Blige, Cameron Britton.
Commedia drammatica/Azione/Fantastico, durata 45-60 minuti (episodio), stagione 1.