Un teschio incastonato di diamanti
Ciò che rende Les garçons sauvages di Bertrand Mandico uno dei capolavori assoluti degli ultimi anni è la sua grande fede in un ideale. E anche se quale sia precisamente non ci è dato saperlo, l’importante è aver capito che stia lì, fra le maglie delle immagini che si sovrappongono, sfumano una nell’altra, inglobano chi si azzarda a posare lo sguardo su di esse.
Il racconto che si aggroviglia immediatamente al nostro inconscio e ci trascina via – questa storia incredibile di ragazzi selvaggi che si addentrano nell’isola che c’è e non c’è e che rimangono vittime di quello che potremmo definire un vero e proprio incantesimo – è senza dubbio uno dei più affascinanti dell’intera storia del cinema francese. E non è tanto un discorso fatto di postmodernismi lucenti, citazionismo sensazionale e cinefilia violentemente seducente a rendere grandioso un film che è la summa e (per adesso) l’apice assoluto di un percorso iniziato oramai ventidue anni fa, ma piuttosto il coscienzioso spirito con il quale il cineasta francese manipola le tematiche che ha intenzione di trattare attraverso quello che verrebbe quasi da definire una sorta di surrealismo razionale.
Ciò che infatti ammalia e strazia in Les garçons sauvages non è tanto il contenuto, bensì la forma: l’impossibile ci viene mostrato con una naturalezza e allo stesso tempo una fermezza che sembrerebbe quasi di assistere all’opera più realista di sempre. Invece è tutto quanto iper, super, eccessivo: è la fantasia al potere, è la reinterpretazione voluttuosa di meravigliosi immaginari che sembrava incredibile fossero proprio lì a portata di mano. Alla base di questo stile preciso e ben definito c’è la necessità di comunicare mutazioni, metamorfosi e mondi che cambiano, perché il centro nevralgico di questa operazione sensazionale è sicuramente un bisogno effettivo di raccontare moderne esistenze che sopravvivono dentro una società turbolenta che andrebbe osservata al più presto con occhi nuovi.
È uno che crede nel cinema, Mandico. Sembra una frase vecchissima e suona ancora più vecchia utilizzata oggi, ma non mi viene in mente altro modo per definirne quella viva fede nel dispositivo, quel modo di credere con fervore in ciò da cui tutto ha origine. Il dispositivo in questo senso sta pure lì a ricordarci che ogniqualvolta una cosa innovativa si manifesta, la sua provenienza non può che essere collocabile in un unico punto d’origine da cui tutto scaturisce e in cui tutto si ripete. Proprio come nel finale di questo meraviglioso film, nel quale Tanguy è destinat* a diventare il capitano e a (probabilmente) rivivere per sempre la stessa vita. E il senso del viaggio è tutto lì: in un teschio incastonato di diamanti che non sarà mai volgare fino al momento in cui non lo si considererà tale.
Les garçons sauvages [id., Francia 2017] REGIA Bertrand Mandico.
CAST Pauline Lorillard, Vimala Pons, Diane Rouxel, Anaël Snoek, Mathilde Warnier.
SCENEGGIATURA Bertrand Mandico (liberamente tratto dall’omonimo romanzo di William S. Burroughs). FOTOGRAFIA Pascal Granel. MUSICHE Pierre Desprats.
Fantastico, durata 110 minuti.