“Ed è tutto sangue mio, questo nero veleno”
Partiamo da lontano. Il vampirismo al cinema era nato dal contrappunto musicale dell’Eine symphonie des Grauens (La sinfonia dell’orrore), sottotitolo del celebre Nosferatu di Murnau, per proseguire con Aurora, il “canto di due esseri umani”, come recita il sottotitolo voluto dal regista tedesco alla sua prima avventura in terra americana: Aurora, racconto di un “vampiro” concupiscente travestito da donna corruttrice.
Quest’ultima, non una tradizionale figura della notte, dunque, ma un abile e astuto camuffamento metaforico per riflettere su altro. Tomas Alfredson, memore di questa lezione di narrazione dissimulata, rielabora in Lasciami entrare il topos demoniaco reso celebre da John Polidori facendo sparire la dialettica geografizzante di Murnau – e delle poetiche americane degli anni Venti – per riproporre un nuovo canto a due, non più intonato dalle diaboliche forze mitteleuropee saettanti tra città e campagna, ma immerso nel gelido spazio urbano della periferia di Stoccolma, entro il quale si recupera il grande archetipo del Bildungsroman e della fiaba nera.
Il corpo femminile desiderante – qui sotto le mentite spoglie di una dodicenne eterna, così come in Aurora era dissimulato nella donna corruttrice – si offre nel suo impeto cannibalico e nella sua “umana” fragilità, ma la concupiscenza della figura malinconica non è che la metafora della perdita dell’innocenza. Lo stesso dramma che vive Oskar, che è umano, ma tanto distante dai suoi coetanei da subire continue vessazioni e soprusi. Il dramma dell’esclusione dalle proprie comunità sociali vissuto dai due adolescenti, temporaneo per Oskar, eterno per Eli che ha dodici anni da troppo tempo, è ambientato in un preciso spazio-tempo – la periferia svedese di inizio anni Ottanta – e riesce a piegare il genere regalandoci un ritratto intenso e struggente che si allontana dal tradizionalismo retorico del teen movie.
Alfredson filma l’invisibile, accogliendo lo spettatore nel microcosmo emotivo dei due amanti e rendendo palpabile il disagio interiore di una coppia di diversi. Il regista, adattando il romanzo di John Ajvide Lindqvist, sfrutta il meccanismo dell’intuizione improvvisa che crea la svolta narrativa giusta, indulgendo poco o niente nel gore fine a se stesso e aprendosi un varco, tra squarci di dolcezza e cupa malinconia, nel quale dilatare uno spavento lirico che riempie la scena di un romanticismo raggelato e mai strombazzante. Tutto si conclude con un ultimo viaggio e una nuova rinascita, ma non prima che il sangue dei colpevoli abbia insozzato la piscina della scuola, improvvisamente macchiatasi del rosso della colpa e dell’espiazione, come quella in cui Jay, nello straordinario e metaforico It Follows, sconfigge le proprie paure entrando nel mondo adulto.
Lasciami entrare [Låt den rätte komma in, Svezia 2008] REGIA Tomas Alfredson.
CAST Kåre Hedebrant, Lina Leandersson, Per Ragnar, Henrik Dahl, Karin Bergquist, Peter Carlberg.
SCENEGGIATURA John Ajvide Lindqvist. FOTOGRAFIA Hoyte Van Hoytema. MUSICHE Johan Söderqvist.
Horror, durata 114 minuti.