Libero arbitrio
È stato scritto e detto tanto su Bandersnatch. L’unica certezza è che il film interattivo pensato come parte del franchise di Black Mirror ha fatto discutere, raggiungendo quindi l’obiettivo dell’ideatore Charlie Brooker: parlarne bene o male non importa, purché se ne parli, è un refrain calzante per questa operazione targata Netflix.
Nel 1984 il giovanissimo Stefan Butler sta progettando un innovativo videogioco interattivo, Bandersnatch, basato sull’omonimo gamebook dello scrittore di culto Jerome F. Davies, personaggio ossessionato a tal punto dalla propria opera da perdere il contatto con la realtà e assassinare la moglie. Stefan otterrà inaspettatamente l’occasione di dar vita al suo videogioco, a fianco del suo idolo Colin Ritman, celebre programmatore. Ecco l’inizio del film, dove lo spettatore prende confidenza con l’interattività scegliendo – tra due possibilità con dieci secondi di tempo – cosa far mangiare al protagonista e che musica fargli ascoltare. Da questo momento le duplici scelte narrative si fanno più complesse e iniziano a modificare sensibilmente sviluppo della trama e destino dei personaggi. I molteplici finali possibili (cinque i principali, con alcune varianti), gli easter egg di cui è disseminato il film e i riferimenti alle opere di Lewis Carroll, sono parte di un’opera che strizza l’occhio a noi spettatori, alle prese con una trama a cui tentiamo di imprimere svolte che spesso deludono le aspettative. Scegliere la “via della violenza”, ad esempio, facendo compiere a Stefan alcuni omicidi, non fa diventare Bandersnatch una storia gore: non si compie mai una virata “di genere”, perché il film rimane permeato dalle medesime atmosfere, a parte un paio di scene che sconfinano nella parodia e nel metacinema. Il libero arbitrio dello spettatore è parziale, perché alcune decisioni fanno ricominciare la narrazione dopo una brusca conclusione, guidandoti forzatamente ad altre scelte, e perché procedendo nella visione si coglie l’inutilità del far agire i personaggi secondo un senso logico (basandosi sulla recitazione degli attori o su quello che ci è stato raccontato come dato di fatto), limitandosi a un’interazione più nello spirito del “vediamo che succede” che non seguendo un qualsivoglia criterio di verosimiglianza. L’idea dietro a Bandersnatch è intrigante, ma lo sviluppo rivela tutti i limiti della narrazione da gioco di ruolo applicata al cinema: non dà davvero la possibilità di agire per conto del protagonista e di far parte di un universo virtuale in prima persona, e allo stesso tempo fa passare in secondo piano la storia che ci scorre sotto gli occhi in attesa di un finale, distraendoci da interpretazioni degli attori e scelte di regia. Il risultato sono novanta minuti d’intrattenimento mediocre, dove l’immedesimazione va scemando e il gioco delle scelte implode in sterile solipsismo.
Black Mirror: Bandersnatch [id., Regno Unito/USA 2018] REGIA David Slade.
CAST Fionn Whitehead, Will Poulter, Asim Chaudhry, Craig Parkinson.
SCENEGGIATURA Charlie Brooker. FOTOGRAFIA Aaron Morton, Jake Polonsky. MUSICHE Brian Reitzell.
Fantascienza/Drammatico, durata variabile (90 minuti con le scene predefinite).