Ritratto generazionale (con armadillo)
Sette anni dopo il folgorante esordio dell’allora semisconosciuto fumettista romano Zerocalcare, è uscita nelle sale La profezia dell’armadillo, trasposizione cinematografica di uno dei “casi editoriali” più eclatanti degli ultimi anni, un grande successo di pubblico partito dalla Rete e propagatosi con il passaparola.
Il film diretto da Emanuele Scaringi ripropone le vicissitudini pratico-esistenziali di Zero, ventisettenne “romano di periferia”, che nella sua Rebibbia si barcamena tra precarietà – il sogno di diventare fumettista, le ripetizioni di francese, un impiego part-time all’aeroporto – e consuetudini della vita quotidiana – il rapporto con la madre, le uscite con l’amico Secco, l’impegno politico nel centro sociale, le pulizie di casa – in una routine vivacizzata dall’ingombrante presenza domestica dell’armadillo, il confidente-coinquilino immaginario, caustico e ironico portavoce della coscienza del protagonista. A causa di una tragica notizia, nel presente di Zero riaffioreranno i ricordi vividi dell’adolescenza, legati a un sentimento (e a una persona), con cui non ha mai fatto davvero i conti, ma che dovrà elaborare per affrontare definitivamente l’implacabile “profezia dell’armadillo”.
Per chi ha letto il fumetto di Zerocalcare, il film riserva gradite sorprese e qualche delusione. Tra le prime è azzeccata la scelta dei due protagonisti, Zero e Secco, ai quali Simone Liberati (reduce dal successo di Cuori puri) e Pietro Castellitto conferiscono l’imprescindibile dose di romanità e d’ironia velata da un malinconico ma orgoglioso senso di inadeguatezza nel modo in cui guardano al mondo e in cui il mondo guarda loro. Altrettanto convincente, evitando a sorpresa l’effetto kitsch, è la scelta di non riprodurre digitalmente l’armadillo, ma di farlo impersonare a un attore (Valerio Aprea) camuffato in un costume ingombrante (metaforicamente e non solo). Meno centrate le altre scelte di cast (dalla madre di Zero, Laura Morante, che “sostituisce” Lady Cocca, a Claudia Pandolfi e Kasia Smutniak impegnate in inutili camei). Il film di Scaringi riesce a restituire in buona parte lo spirito del fumetto, quindi diverte e sa toccare le corde della commozione a tempo debito, ma narrativamente pecca di fluidità, riempiendo i buchi di sceneggiatura con immagini aeree di treni e periferie romane. La scelta di strizzare l’occhio alla platea di appassionati del fumetto (la superflua riproposizione, in forma di animazione, del G8 di Genova) e la necessità di rendere il film accessibile anche a chi non conosce il graphic novel, rendono La profezia dell’armadillo un po’ piatto, una sorta di versione rispettosa, ma normalizzata, di un’opera diventata (malgrado l’understatement del suo autore) manifesto generazionale di molti venticinque-trentenni.