Specchi
Sunset, opera seconda dell’ungherese László Nemes, era uno dei film più attesi del ricco concorso di Venezia 75. Un banco di prova dopo il fulminante esordio Il figlio di Saul e il suo sguardo ancora capace di essere intenso e destabilizzante sull’inflazionato tema dell’Olocausto.
In Sunset Nemes, raccontando gli anni precedenti lo scoppio della Prima Guerra Mondiale, fotografa il tragico crollo di un mondo e di una cultura – quella della Budapest aristocratica e altoborghese e dell’impero Austroungarico; in sintesi, la fine dell’Ancien Régime ottocentesco – nel momento della definitiva e fatale deflagrazione, nell’attimo in cui la scintilla viene lanciata nella polveriera. Senza però girare un film esplicitamente e tradizionalmente “storico”: non ci troviamo di fronte ad una ricostruzione e ad una cronaca dei fatti; ci troviamo di fronte anzi ad un film quasi intimo, un’incursione nella soggettività che all’apparenza ignora il contesto restringendo lo sguardo sulla protagonista, interpretata da un’intensissima Juli Jakab, e sul suo volto. Il suo improvviso ritorno in città e la sua volontà di indagare il passato e i misteri della sua famiglia sono le micce che determinano la distruzione; è lei che scatena il vaso di Pandora di rabbie sociali, segreti e crimini nascosti, ipocrisie e violenze latenti di una società ormai insostenibilmente intrisa di disumanità. Come ne Il figlio di Saul, il regista ungherese lavora soprattutto sui primi piani e sulla loro relazione con la profondità del piano e con il fuoricampo, effettivo ed interno alle inquadrature. È un film quasi claustrofobico tanto il volto della protagonista viene pedinato e tanto domina la scena, spesso risaltando nell’oscurità più tetra di certe inquadrature (uno dei momenti più affascinanti è quello in cui nel buio totale spiccano il volto del fratello, quello di lei e il suo riflesso nello specchio) o nella luminosità accecante di altre. La discesa negli inferi dell’ossessione della protagonista è parallela alla discesa nella violenza della civiltà che implode; i due aspetti sono reciprocamente causa e conseguenza. Lo scontro tra la tenacia sempre più cinica e determinata di Iris e i segreti, la rabbia e la violenza che ribollono sotto i lustrini della Belle Époque determinano, da entrambi i lati, il risveglio di un male insito nel profondo e inevitabile. È, quindi, come se il primo piano sintetizzasse e attirasse su di sé tutto quello che accade intorno, come fosse il luogo in cui si specchia la distruzione che noi spettatori o intuiamo o vediamo sfocata o accennata nelle “zone d’ombra” e più lontane dell’inquadratura. In questo modo lo sguardo apparentemente ristretto e limitato di Nemes si allarga diventando un potente, nichilista, duro e ipnotico racconto universale della fine di un’epoca e una riflessione inesorabile sul male sempre in agguato.
Tramonto [Napszállta, Ungheria/Francia 2018] REGIA László Nemes.
CAST Juli Jakab, Vlad Ivanov, Evelin Dobos, Levante Molnár, Susanne Wuest, Urs Rechn.
SCENEGGIATURA László Nemes, Clara Royer, Matthieu Taponier. FOTOGRAFIA Mátyás Erdély. MUSICHE László Melis.
Drammatico, durata 142 minuti.