Lo chiamavano Jeeg Robot, al sapore di gulasch
Sono in pochi a girare e concepire il movimento come il regista ungherese Kornél Mundruczó. Di sicuro è tra i migliori in Europa, specialmente nel cinema d’autore o non commerciale. Questo talento emerge chiarissimo da Una luna chiamata Europa, il suo secondo lungometraggio dopo White God – Sinfonia per Hagen, premiato all'”Un Certain Regard” di Cannes due anni fa.
Il nuovo film racconta di un migrante siriano che viene colpito dal fuoco della polizia ungherese alla frontiera con la Serbia. Ma anziché morire, il protagonista acquisisce il potere di sfidare la gravità: un medico balordo cercherà di approfittarne mentre le forze dell’ordine cercheranno di braccarlo e dargli la caccia. Scritto dal regista con Kata Wéber, Una luna chiamata Europa fa sua la metafora fin dalla didascalia iniziale: la luna più grande di Giove che dà il titolo al film (il titolo internazionale è Jupiter’s Moon), quella su cui sarebbe possibile una vita umana, si chiama Europa. Così il gioco del rapporto tra i migranti e il Paese più fascista del continente è immediato e diventa sfondo perfetto per un film “supereroico”. Il modello è quello del fantasy glocal che in Italia ha fatto scalpore con Lo chiamavano Jeeg Robot di Gabriele Mainetti, e Mundruczó lo declina secondo un’appassionante idea di cinema in cui il dinamismo è messo in scena con grandissimo talento: le lunghissime inquadrature dell’incipit, un paio di corse bellissime seguite da spericolati carrelli, scene d’azione stradali di rara bellezza. Ma anche l’uso della camera a mano evidenzia il talento di un regista pronto per il grande passo, probabilmente; eppure questa idea di cinema mostra continuamente falle e vizi a partire da una regia che si crede onnipotente (che senso ha un’inquadratura che segue per 10 secondi un sedere femminile sott’acqua se non è un film erotico?), che eccede e si compiace per tutta la seconda parte fino a una scrittura ambiziosa oltre ogni limite che si sfilaccia e confonde, non facendo mai capire nulla allo spettatore. Per non parlare della sgradevole sensazione che i migranti e la questione siriana (con il protagonista ritratto come un bambinone scemo in balìa degli europei) siano il mero pretesto di chi non ha avuto il coraggio di fronteggiare un’opera di genere fino in fondo, finale messianico compreso. Con la sua bravura e la sua perizia cinetica a Kornél Mundruczó farebbe meglio un giro nella fabbrica dei sogni di Hollywood anziché nel concorso di Cannes.
Una luna chiamata Europa [Jupiter holdja, Ungheria 2017] REGIA Kornél Mundruczó.
CAST Merab Ninidze, György Cserhalmi, Mónika Balsai, Jéger Zsombor.
SCENEGGIATURA Kornél Mundruczó, Kata Wéber. FOTOGRAFIA Marcell Rév. MUSICHE Jed Kurzel.
Fantastico/Drammatico, durata 123 minuti.