Gli occhi non mentono
“Gli occhi non mentono”, sostengono molti. Di certo non lo fanno ne La terra dell’abbastanza, esordio più che promettente dei fratelli Damiano e Fabio D’Innocenzo presentato con successo in “Panorama”, il ricco fuoriconcorso della Berlinale.
Sono gli occhi dei due giovani protagonisti, che spesso la cinepresa aggredisce quasi entrando nella pupilla, e sono i loro primissimi piani a raccontarci e a trasmettere la paura, la disillusione, l’illusoria e vacua euforia e gli echi della coscienza lontani, improvvisi e decisivi che costituiscono le tappe dell’educazione criminale raccontata dal film. È un percorso in cui gradualmente l’umanità si smarrisce in un adattamento meccanico, ovvio e quasi inconsapevole ad un contesto che non lascia via di scampo, se non disperata ed estrema. Tutto nasce da un incidente in cui Mirko e Manolo, ragazzi come tanti dell’estrema periferia romana e amici fraterni, investono un uomo; la vittima è un “infame”, e l’incidente apre così ai due ragazzi le porte del dorato mondo della criminalità pronta a ricompensarli.
Un altro modo di dire in voga in questi tempi è “il futuro non esiste”. È un altro detto che pare trovare un’amara conferma nel film; non solo e non tanto per le sorti di Mirko e Manolo, che non spoileriamo, quanto per la meccanizzazione delle loro scelte e delle loro azioni, per il fatalismo disilluso capace di ammorbare loro, i personaggi secondari e tutto ciò che circonda e per la mancanza di prospettive e di reali desideri. Estremamente significativo da questo punto di vista è il padre di Manolo, interpretato da un intenso e sorprendente Max Tortora, un uomo bloccato nella sua interiorità come nella sua maschera di sottoproletario borgataro, quasi del tutto incapace di capire davvero la tragedia, accoglierla, rielaborarla e soprattutto reagire.
C’è la stessa sospensione sociale e interiore di Non essere cattivo di Caligari, così come c’è la stessa tensione tra la concretezza e le tendenze alla visionarietà e all’astratto che condizionano, senza però negarlo, il realismo di fondo. La terra dell’abbastanza rimanda certamente al film del compianto autore aronese e può certamente soffrire il fatto di essere costretto, in particolare nell’inevitabile percezione, a seguirne la scia, ma allo stesso tempo trova la sua particolarità nell’attenzione che rivolge ai corpi e agli sguardi dei due giovani protagonisti. Tutto in qualche modo ruota infatti intorno alla loro fisicità e all’espressività dei volti, predominanti per esempio sul pur riconoscibile e significativo paesaggio urbano, che, a differenza di molti film sulle periferie perse e disagiate, rimane sullo sfondo e lascia spazio all’intensità trasmessa dai due personaggi. Intensità che, anche grazie ad una regia già potente e ad una manciata di sequenze di alto livello (su tutte, l’ultima esecuzione), inesorabilmente investe.
La terra dell’abbastanza [Italia 2018] REGIA Damiano D’Innocenzo, Fabio D’Innocenzo.
CAST Andrea Carpenzano, Matteo Olivetti, Max Tortora, Milena Mancini, Luca Zingaretti.
SCENEGGIATURA Damiano e Fabio D’Innocenzo. FOTOGRAFIA Paolo Carnera. MUSICHE Toni Bruna.
Drammatico, durata 96 minuti.