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Incubus (1966)

sabato 19 Maggio, 2018 | di Erasmo De Meo
Incubus (1966)
Speciale Produzioni Difficili
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SPECIALE PRODUZIONI DIFFICILI
Visibile e invisibile
Qualcuno lo definisce l’ultimo degli horror classici, quindi l’ultimo di quei film costruiti quasi artigianalmente con pochi attori, pochi mezzi e molte idee dove lo spavento e l’orrore sono frutto di effetti musicali, suoni inauditi, apparizioni e ambientazioni misteriose fotografate con un certo gusto per le ombre e soprattutto per il buio. Incubus è in effetti costruito essenzialmente sui sensi e sui suoi inganni, su ciò che si vede o non vede, su ciò che si sente o non si sente.

Marc è un soldato in congedo dopo un’incidente, venuto con la sorella Arndis a Nomen Tuum, un villaggio sede di una fonte che si dice miracolosa: chi ne beve diventa più sano e più bello. Questo luogo di rinascita, depurazione e riposo è un piccolo purgatorio terreno ma è mediacritica_incubus_290anche l’occasione migliore per spiriti ed esseri maligni per sferrare l’ultimo attacco, l’ultima tentazione e sedurre vittime da sacrificare al Dio delle Tenebre. Le sorelle Succubi, Kia e Amael, sono le principali attrici di questo teatro di corruzione, si presentano agli uomini in luoghi isolati, attirandoli a sé, ammaliandoli fino a diventare irresistibili e infine uccidendoli. Marc è la vittima prescelta da Kia, ma Marc costituisce un bersaglio difficile, il suo animo è puro, il suo sentimento religioso è forte, tanto che accade il contrario: Kia finisce per innamorarsene e ha un rapporto con lui, dimostrandosi incapace di resistere alla principale forza del Bene, l’Amore. Per vendetta le sorelle risveglieranno il temibile fratello Incubus che rapirà e violenterà Arndis e proverà infine ad uccidere lo stesso Marc. Incubus/Incubo è quella figura mitologica maschile che insidiava le donne dormienti, opprimendole o unendosi a loro – le Succubi non sono altro che il suo relativo femminile – e il film poco aggiunge alla figura tradizionale, che di per sé ha una discreta storia artistica citata esplicitamente: la violenza su Arndis mette superbamente in cinema il quadro di Füssli. La fotografia di Conrad Hall, tre volte premio Oscar, fa la gran parte del lavoro, gli effetti stranianti, le prospettive insolite e sinistre, le figure che emergono dal “buio della ragione” hanno forza grazie al suo bianco e nero. Sono frequentissimi gli ostacoli visivi, elementi naturali, pareti o la stessa cecità di Arndis, causata dall’aver osservato l’eclisse – fortemente simbolico nel suo essere buio che copre la luce – che si oppongono alla capacità offerta da Kia di vedere di più, di vedere oltre, promettendo a Marc di poterla vedere nuda, quindi senza i filtri e le resistenze della purezza, non appena accetterà di seguirla. Una scelta particolare fu quella di girare il film in esperanto, con l’effetto di rendere le forze del Bene e del Male ancora più estranee e allo stesso tempo più universali, capaci di rivolgersi a tutti. La produzione del film stesso, si dice, sortì effetti sinistri: molti collaboratori subirono incidenti e l’attore che interpretò Incubus morì ucciso pochi anni dopo. Anche le copie del film finirono tutte misteriosamente distrutte, solo trent’anni dopo fu ritrovata una copia da cui venne tratta l’edizione ora pubblicata e visibile.

Incubus [id., USA 1966] REGIA Leslie Stevens.
CAST William Shatner, Allyson Ames, Ann Atmar, Milos Milos.
SCENEGGIATURA Leslie Stevens. FOTOGRAFIA Conrad Hall. MUSICHE Dominic Frontiere.
Horror, durata 78 minuti.

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