Fiaba del reale
In concorso per la quarta volta a Cannes e con due Grand Prix al suo attivo (per Gomorra e Reality), Matteo Garrone esprime nel suo nuovo film, Dogman, la sintesi virtuosa delle istanze più importanti del suo cinema: il rapporto con le pulsioni della realtà e la tensione per l’esemplarità quasi fiabesca del racconto.
L’esito è una vicenda elementare di prevaricazione e violenza calata entro un mondo ipertrasfigurato, che non è l’Italia pur recando in sé elementi di ben noto degrado civico e morale, e non è semplicemente un sogno pur trasportando la messinscena su un piano visionario, quasi metafisico. Ibrido tra western di provincia e incubo archetipico, ben poco il film ha a che fare con l’episodio di cronaca nera che liberamente lo ha ispirato – l’efferato omicidio del Canaro della Magliana Pietro De Negri ai danni dell’ex pugile e piccolo delinquente Giancarlo Ricci, alla fine degli anni Ottanta: siamo molto lontani dalla ricostruzione degli eventi secondo i principi del mero naturalismo, perché a Garrone interessa soprattutto il fantasma irrisolto della sopraffazione e l’illusione di un possibile riscatto. Tutto filtrato attraverso il punto di vista – la mente – del toelettatore di cani Marcello, figura precaria e fragilissima, sola al mondo se non fosse per l’amore di una figlioletta che vive con la madre e di tanto in tanto gli concede dolcissimi intervalli dal terrore, Dogman veste quel terrore dei panni dell’ex pugile Simoncino: orco di quartiere privo di limite e morale, questo mostro che tutti vorrebbero vedere in carcere o (meglio ancora) morto arriva, semina il panico e picchia con foga ferina, trovando in Marcello, nella sua ingenua accondiscendenza, la vittima ideale dei propri ricatti e della propria furia. Garrone non si accontenta di esaminare il controverso rapporto di forze che domina questa accoppiata quasi inedita, smascherando le conseguenze dell’impossibilità di dire di no alla malvagità che grava con le sue ombre sul quotidiano: si spinge al contrario a immaginare un disegno di vendetta, che però mostra tutta la futilità dell’ipotesi di un riscatto. Marcello è un cane in gabbia, proprio come gli animali ora feroci ora innocenti di cui si occupa, anche quando riesce, rocambolescamente, a ingabbiare il proprio aguzzino. Con una fluidità registica e una direzione d’interpreti d’eccezione, il film attraversa le convenzioni dei generi diventando la parabola universale di un uomo incapace di trovare pace in un modo di soprusi e di solitudine. Non certo un trattato sociologico, ma – appunto – una fiaba dal nucleo oscuro, di quelle che riescono meglio di certi documentari e di tanta finzione a rendere conto della realtà in cui potremmo finire a vivere, da un istante all’altro. O in cui stiamo già vivendo.
Dogman [Italia/Francia 2018] REGIA Matteo Garrone.
CAST Marcello Fonte, Edoardo Pesce, Alida Baldari Calabria, Nunzia Schiano, Adamo Dionisi.
SCENEGGIATURA Ugo Chiti, Massimo Gaudioso, Matteo Garrone. FOTOGRAFIA Nicolaj Brüel. MUSICHE Michele Braga.
Drammatico, durata 95 minuti.