La terra dei morti vivi
Guido (Santamaria) è alle prese con l’ennesima perdita del lavoro: ha visto fallire l’azienda dove era impiegato come tecnico informatico e ora, costretto a fare il magazziniere, viene licenziato in tronco per futili motivi. Incontra Franco (Marco Giallini), virtuoso del recupero crediti. Guido è tra le prossime vittime di Franco: impossibilitato a pagare, chiede di poter lavorare gratis per lui, così da saldare il debito.
Sono tutti morti, anche noi siamo morti. Siamo tutti morti vivi. La filosofia di Franco, che di mestiere acquista i debiti da altre società a prezzi irrisori accollandosi il rischio ma anche il probabile lauto guadagno, è qualcosa di post apocalittico, retaggio dei demoni di Gogol (il personaggio di Čičikov di Le anime morte, come confermato dallo stesso regista), traghettatore di soldi tra sponde in putrefazione. È un personaggio inedito e per moti versi affascinante quello interpretato da un Giallini ispirato, ringiovanito, quasi tornato alla tensione caligariana di L’odore della notte (1998): è la rappresentazione di un rimosso che tutti conosciamo ma che puntualmente confiniamo nell’oblio.
Va al cuore della vergogna più grande – non riuscire a saldare i debiti – e ne fa il punto di non ritorno di un’umanità ormai persa che non può redimersi, non importa quale sia la motivazione del prestito (le cure per la moglie malata, una vacanza, uno stile di vita sopra le proprie possibilità). In questa inesorabile discesa che non ha altro scopo se non l’annientamento finale di un Io che ride in faccia alla morte (degli altri) pur mostrandosi pieno di debolezze (su tutte, la famiglia), l’entrata in gioco di Guido ribalta gli equilibri: è lui ad aver bisogno di Franco, non il contrario, è lui che ha bisogno di redimersi ma non ci riesce mai (mentre l’altro si ripulisce la coscienza in chiesa) e di sfogarsi dopo una vita di ingiustizie e soprusi.
Ma alla fine gli manca una sola cosa per essere perfetto, come Franco, e riuscire a capire il sistema: avere un po’ di sistema dentro di sé. Morabito firma il primo film italiano targato Netflix portandoci dentro luoghi che, a tratti, ricordano le bettole disperate di Kaurismaki, senza proporre letture morali, al contrario mettendo in scena costantemente l’ambivalenza dell’animo umano: meglio bruciare subito o arrugginire? Questione di lana caprina nella terra delle anime morte.
Rimetti a noi i nostri debiti [id., Italia/Svizzera/Albania/Polonia 2018] REGIA Antonio Morabito.
CAST Claudio Santamaria, Marco Giallini, Jerzy Stuhr, Flonja Kodheli, Agnieszka Zulewska.
SCENEGGIATURA Antonio Morabito, Amedeo Pagani. FOTOGRAFIA Duccio Cimatti. MONTAGGIO Francesca Bracci.
Drammatico, durata 104 minuti.