Ozon e il cinema del doppio deformante
Chloé è una venticinquenne che per alcuni dolori psicosomatici decide di andare da Paul Mayer, uno psichiatra giovane e affascinante con il quale comincerà presto una relazione sentimentale che porterà all’interruzione della terapia e alla convivenza tra i due. Una situazione che entrerà in crisi quando la giovane donna scoprirà che il compagno ha un fratello gemello del quale non le ha mai parlato.
È piuttosto noto che quella di François Ozon è una filmografia che vive in buona parte di citazioni cinefile, spesso portate avanti in modo al tempo stesso fedele e creativo rispetto ai riferimenti originali, in quello che si può definire come un cinema del “doppio deformante”, che gioca a farsi copia imperfetta di altri stili e di altri registi. Una peculiarità, quella dell’autore transalpino, che la sua ultima fatica Doppio amore sembra al contempo metaforizzare e confermare. Qui, infatti, il cineasta basa quasi tutta la sua opera sul doppio, tanto tramite un racconto thrilling incentrato su due fratelli gemelli, quanto attraverso una messa in scena che insiste sullo sdoppiamento dell’immagine ricorrendo frequentemente a specchi, split-screen e oggetti simili o identici posti gli uni vicini agli altri. Scelte che, alla luce della filmografia “ozoniana”, possono essere appunto interpretate come dei simboli autoriflessivi di un cinema che ha fatto del “doppio creativo” una sua cifra stilistica riconoscibile. E, in fondo, anche il lavoro in questione è ricco di citazioni e riferimenti, in particolar modo alle opere di Polanski e De Palma e, più in generale, a un certo “thriller d’autore”, di cui però Ozon vuol fare soprattutto una parodia. Infatti, se da un lato il film sembra affrontare tramite le maglie del proprio genere di riferimento problematiche come il potere, il desiderio sessuale e il confine tra verità e menzogna e sogno e realtà − apparendo per questo un lavoro complesso e stratificato −, dall’altro è evidente che ci troviamo di fronte a un’opera che non si prende mai sul serio tra colpi di scena assurdi e scelte di regia di palese cattivo gusto (la cinepresa che entra nella vagina della protagonista), in cui anche i punti tematici prima citati risultano solo delle false piste tese a disorientare lo spettatore e a prendere per i fondelli una certa autorialità.
Tutto questo in un’operazione a tratti intrigante e interessante, che pecca però di una certa ridondanza nella raffigurazione del doppio e nell’insistenza dei momenti trash, rischiando così di non essere tanto e solo il riflesso deformante e satirico del “thriller d’autore”, ma, più semplicemente, un film un po’ sterile e fastidioso.
Doppio amore [L’Amant double, Francia 2017] REGIA François Ozon.
CAST Marine Vacth, Jérémie Renier, Jacqueline Bisset, Myriam Boyer, Dominique Reymond.
SCENEGGIATURA François Ozon (tratto dal racconto Lives of the Twins di Joyce Carol Oates). FOTOGRAFIA Manu Dacosse. MUSICHE Philippe Rombi.
Thriller, durata 107 minuti.