36° Bergamo Film Meeting, 10 – 18 marzo 2018, Bergamo
Testamento
Presentato al 36° Bergamo Film Meeting all’interno della retrospettiva dedicata a Liv Ullmann, il commiato di Ingmar Bergman avvenne, quattro anni prima della sua morte, nel 2003 con un film per la televisione coprodotto da emittenti di tutta Europa, Rai compresa, Sarabanda, un durissimo e pietoso, pur nel suo nichilismo, riassunto delle sue tematiche, nel quale cita e rielabora alcune delle sue opere precedenti.
A partire dalla saga del dolore e dei rimpianti famigliari di Scene da un matrimonio (1973), Sarabanda è infatti un sequel della serie tv/film del 1973. Marianne e Johan si ritrovano dopo quasi trent’anni dal loro ultimo incontro. Lei decide di andare a trovare l’ex marito, autoesiliatosi nello chalet disperso tra i boschi dell’isola di Faro. Sarebbe dovuta essere una visita veloce, un’occasione fugace per accontentare un vago senso di nostalgia e di malinconia, ma Marianne rimarrà a lungo, reimparando a riconoscere il consorte e affacciandosi, oltre che sui propri rimpianti, sul dolore e sull’angoscia di Henrik, figlio di Johan, e di sua figlia Karin, giovane e promettente violoncellista vittima di un legame più che morboso con il padre.
Non è facile il commiato del grande autore svedese, e non perché sia un film prolisso e troppo parlato. Non è facile perché Bergman, al contrario, inchioda lo spettatore ai dialoghi fluviali con cui i personaggi fanno i conti con il loro passato e con le conseguenze sul presente; inchioda lo spettatore ai loro volti, grazie ad un complesso e quasi invisibile lavoro sui primi piani, fatto di strani controcampi e di impercettibili, ma decisivi, movimenti di macchina che tradiscono la fissità dei quadri da “kammerspiel” tipicamente svedese. Così, Sarabanda, non privo di inserti metafisici, diventa un’implacabile discesa, fino all’indicibile, nel dolore e nella disperazione del quartetto.
I rimpianti, il peso delle assenze e delle scomparse, i rimuginamenti autobiografici, i detti e non detti che si trasformano in odio e disprezzo, la paura della morte, il senso e l’assenza della fede e il voler bene disperato che si traforma in morbosità cattiva e incestuosa sono tematiche che hanno costellato l’intera carriera del regista svedese e che qui riecheggiano in maniera sconsolata e dura, così come riecheggiano citazioni dai molti suoi film.
Sarabanda però non è un film crudele, pur nella sua durezza e nel suo pessimismo. È un film anzi capace, talvolta, di essere tenero (“piango per Johan e Marianne” è una frase che non lascia scampo agli occhi di chi ha visto Scene da un matrimonio) e di avere uno sguardo estremamente pietoso e umanista nei confronti dei personaggi e del loro dolore profondo, anche quando le colpe sono enormi. Sarabanda è un testamento che non lascia delusi, né tanto meno può lasciare indifferenti.
Sarabanda [Sarabande, Svezia/Danimarca/Italia/Norvegia/Finlandia/Germania/Austria 2003] REGIA Ingmar Bergman.
CAST Liv Ullmann, Erland Josephson, Julia Dufvenius, Borje Ahlstedt.
SCENEGGIATURA Ingmar Bergman. FOTOGRAFIA Stefan Eriksson. MUSICHE Autori vari.
Drammatico, durata 117 minuti.