Ogni “cittadino del Cinema”, secondo la definizione di Jean Renoir, non può non aver sognato un luogo – quasi un tempio – in cui sono raccolti tutti i film sopravvissuti al tempo, ora disseminati in piccoli e grandi archivi sparsi in ogni nazione, e di avere a disposizione l’intera storia del Cinema a portata di mano, come un mare in cui l’unico vento in poppa e l’unico ostacolo siano la curiosità e i suoi limiti.
La Cineteca Globale è un’utopia? O già una mezza verità? Facciamo un esempio: il cinema muto. Negli ultimi anni si è verificato una nuova ondata di interesse nei confronti di quel periodo, fioriscono festival, proiezioni, rassegne e riedizioni. Ma queste sono la causa o la conseguenza di una fascinazione nata altrove? Nata dove e grazie a chi? Forse grazie alla tv, ai multisala e alle cineteche? È merito delle edizioni economiche in dvd? O addirittura delle Università? Sarebbe auspicabile che così fosse ma purtroppo non lo è.
Conosco decine di appassionati che hanno cominciato a scoprire il muto guardandolo online, provando una meraviglia inaudita per Keaton, Murnau e Dulac tra i pixel, gli errori filologici e una qualità audio/video a volte anche pessima. Eppure preferisco cento volte una tale passione genuina a chi storce il naso di fronte ad una visione personale e casalinga di versioni non controllate, frutto di folli amanuensi che hanno preferito la condivisione alla detenzione di rarità inaccessibili. Senza un luogo globale – che quindi esiste ed è Internet – non avremmo tanti appassionati, soprattutto sotto i trent’anni, che hanno probabilmente visto più film del 1927 che del 2017! Nel caso del cinema muto molti diritti sono caduti e ciò rende possibile legalmente la fruizione online, ma per tutto ciò che viene dopo? L’ultimo rapporto della Fapav dice che il 39% degli adulti e il 59% degli adolescenti in Italia scaricano abitualmente film e serie tv. La maggior parte di loro lo ha fatto in piena coscienza dell’illegalità della propria azione e le due motivazioni principali sono il risparmio economico e la praticità, ossia la visione nei tempi e nei luoghi desiderati.
L’aspetto paradossale, confermato da alcuni studi, è che chi scarica va anche di più al cinema e compra più dvd rispetto a chi non scarica. Una grossa fetta di costoro credo infatti sia occupata proprio da chi il cinema lo fa e in e per esso lavora e studia. Tutto ciò come si può leggere se non come una sete di cultura inascoltata? Se il luogo c’è, manca una struttura in grado di gestire e soddisfare i più imprevisti desideri. È così impensabile che anche per il cinema possano nascere servizi in streaming, simili a Netflix e Spotify, ma orientati ad una fruizione culturale e completista?