SPECIALE AMORI IMPOSSIBILI
Deserto
Nel dialogo finale de La notte lo scrittore protagonista (Marcello Mastroianni) prende coscienza del fatto di “non aver lasciato nulla” alla compagna (Jeanne Moreau). Ne L’avventura l’ultima frase pronunciata da Monica Vitti è “tutto sta diventando maledettamente facile, anche privarsi di un dolore”.
Ne L’eclisse i due amanti (ancora la Vitti e Alain Delon), dopo essersi detti che si sarebbero rivisti “domani, il giorno dopo ancora e ancora quello dopo” si abbracciano. Durante questo abbraccio entrambi guardano per un attimo in camera, con l’espressione di chi è amaramente consapevole di quanto quelle promesse siano vane e di quanto l’attrazione reciproca sia stata solo una momentanea via di fuga dal proprio deserto interiore, dall’incapacità di, per dirla banalmente, amare e di amarsi e dall’impossibilità di comprendere e “comunicare” se stessi; di come sia stata un illusorio, ostinato e vano tentativo di combattere queste incapacità cercando una via di fuga impossibile, se non nel silenzio o nella scomparsa. Non servono più, come nei due film precedenti, le parole di rammarico o di disperata protesta, e così, dopo l’amara e silenziosa presa di consapevolezza dell’abbraccio e dello sguardo in macchina, ai protagonisti non resta che sparire e lasciare spazio all’astrazione; volti di passanti che vagano e architetture asettiche, fredde e quasi spaventose, che siano riprese dall’alto in panoramiche quasi post-apocalittiche o che siano dettagli di staccionate o di marciapiedi. È il definitivo trionfo del paesaggio metafisico e allegorico fin dagli inizi centrale nel cinema di Michelangelo Antonioni, non solo nel trittico dell’incomunicabilità – si guardi la rilevanza delle architetture, per esempio, in Cronaca di un amore −, e che nei dieci celebri minuti finali de L’eclisse diventa definitivamente “post-umano”. Il paesaggio smette di essere semplicemente una metafora dell’impossibilità di comunicare e di “comunicarsi” e dell’aridità interiore e, prendendosi tutto lo spazio dell’inquadratura e della narrazione, reclama il suo ruolo; quello cioè di essere l’unico elemento possibile con cui leggere una società sempre meno umanista e un’umanità che, una volta avuta dal progresso l’illusione di capire se stessa fin nelle intimità più profonde, ha scoperto che questo è impossibile e causa solo dolore e smarrimento atroce. Come in una sorta di triplice climax; interno al film – man mano diventano sempre più invadenti le sequenze con il paesaggio urbano “protagonista” -, interno alla trilogia – negli altri due film il paesaggio era più “accompagnato” dalla parola – e interno all’intera filmografia dell’autore ferrarese, dove si è ritagliato uno spazio sempre più evidente. Dominando un film enorme e attualissimo.
L’eclisse [Italia 1962] REGIA Michelangelo Antonioni.
CAST Monica Vitti, Alain Delon, Lilla Brignone, Francisco Rabal, Rossana Rory, Louis Seigner.
SCENEGGIATURA Michelangelo Antonioni, Elio Bartolini, Tonino Guerra, Ottiero Ottieri.
FOTOGRAFIA Gianni Di Venanzo. MUSICHE Giovanni Fusco.
Drammatico, durata 126 minuti.