Sussurri e grida
Il cinema di Gabriele Muccino urta, infastidisce, irrita. Quasi quanto quello di Luca Guadagnino, un autore che la critica italiana odia da sempre ma che ora è quasi controvoglia costretta a riconsiderare, rivedere, riabilitare.
Le analogie fra i due però sembrano finire qui, perché se a Guadagnino viene imputata la grave colpa di ispirarsi spocchiosamente ai maestri francesi della Nouvelle Vague – con corollario di lese maestà – il demerito maggiore di Muccino pare essere all’opposto quello di credere apertamente al commerciale, al nazional-popolare, al melò della banalità. I maestri di Muccino sono Risi e Monicelli, guide spirituali della commedia reinterpretate dal regista romano come fosse il direttore della fotografia Duccio di Boris: aprendo tutto, esasperando i concetti, smarmellando i caratteri in gioco. A casa tutti bene inizia con la voce off di Stefano Accorsi, ma è come se a parlare fosse Muccino stesso: «Dicono che la famiglia sia il nostro punto di partenza, poi di fuga e alla fine di ritorno». Si comincia con le disfunzioni familiari di L’ultimo bacio e Ricordati di me, si scappa a gambe levate verso l’America di La ricerca della felicità e Sette anime e infine si ritorna verso “L’isola che non c’è” (titolo di lavorazione di A casa tutti bene, modificato in corso d’opera), abitata da una dozzina di nomi di punta del cinema italico, epicentro di un terremoto emotivo che si fa compendio della filmografia mucciniana. I nonni, i genitori, i figli, i fratelli e i cugini: lo sforzo per dare un senso a tutta la genealogia è titanico, ma quasi non è necessario; ciò che conta è assimilare i frammentati drammi che ognuno di loro vive, accettare i vorticosi inseguimenti della macchina da presa mentre si consuma un litigio, un corteggiamento, un pianto o una riappacificazione. E anche se la vita reale non è così alla fine per qualche oscuro motivo si finisce quasi per credere ai sussurri dimessi di Favino (protagonista occulto della pellicola, un po’ come a Sanremo) e alle grida isteriche di Crescentini, al fatto che due 16enni conoscano perfettamente il testo di Margherita di Cocciante e che si sfiori il ridicolo ad ogni sequenza, agli immani luoghi comuni dei dialoghi e all’endemica inesistenza di una scala di grigi fra il bianco della felicità e il nero della tragedia. È in virtù di questo “nomadismo sentimentale” (Marzia Gandolfi, mymovies.it) aumentato e anabolizzato che, sparando nel mucchio, prima o poi alcune corde emotive per forza di cose finiscono per vibrare. Gabriele Muccino si odia, per ciò che mette in scena e per il modo in cui lo fa. Ma sotto sotto – ragione per cui l’astio aumenta a dismisura – un po’ si finisce sempre per dargli ragione.
A casa tutti bene [Italia 2018] REGIA Gabriele Muccino.
CAST Stefano Accorsi, Claudia Gerini, Pierfrancesco Favino, Sabrina Impacciatore, Gianmarco Tognazzi.
SCENEGGIATURA Gabriele Muccino, Paolo Costella. FOTOGRAFIA Shane Hurlbut. MUSICHE Nicola Piovani.
Drammatico, durata 105 minuti.