Le regole del gioco
Tra gli autori della Nouvelle Vague Jean-Luc Godard è sicuramente il regista più intellettuale, ostico, politico, nonché quello che maggiormente ha tracciato un segno netto nella storia del cinema.
Tra chi ama la sua ossessione rivoluzionaria per il linguaggio, e chi invece mal digerisce le sue sperimentazioni tanto da considerarle alla stregua di una masturbazione intellettuale. Però esiste anche un periodo in cui Godard ha mostrato leggerezza, il piacere nella messa in scena, certamente sempre attenta alla destrutturazione del découpage classico, e anche al racconto, scanzonato come i suoi protagonisti. Non è un caso che Tarantino abbia preso spunto, in particolare da Fino all’ultimo respiro e Il bandito delle 11, per partorire gangster che, come per l’autore francese, passavano più tempo a vaneggiare in inconcludenti dialoghi e girovagare, in attesa di quell’azione che nel linguaggio cinematografico rappresenta il tutto, ma che nell’economia del cinema godardiano altro non è che un accessorio a volte addirittura superfluo. E proprio il titolo di un altro film di Godard è stato usato come nome della casa di produzione co-fondata da Tarantino, Bande à part, tra le pellicole dell’autore francese una delle più leggiadre, e che ora si appresta tornare in sala restaurato. Una storia semplice nell’intreccio, a cui Godard palesemente interessa ben poco, incentrata su Arthur e Frantz, due giovani che hanno l’intento di derubare la casa di una signora benestante, e della bella ma ingenua Odile, chiave del loro piano perché pensionante all’interno della casa che hanno preso di mira. Un racconto giallo tutto sommato superficiale in Bande à part, perché quel che realmente assistiamo è il trittico di sentimenti che si intrecciano nei tre protagonisti, quello interessato e cinico di Arthur, il più malizioso nelle avances, contrapposto all’atteggiamento quasi remissivo di Frantz che però, come lo stesso Godard ci racconta beffardamente a più riprese in voice over, quasi a ricordarci dell’inutilità delle parole di fronte alle immagini, appare più sinceramente coinvolto, al netto del malloppo che potrebbe svoltargli la vita. E poi c’è la giovane Odile, in balia del muto contenzioso dei due, ammaliata dalle attenzioni ricevute ma spaventata dalle intenzioni che li muove, che diviene punctum spettatoriale con la sua ingenua bellezza e sincera vitalità. È proprio in questo che Bande à part rimane tutt’ora fortissimamente contemporaneo, una leggerezza emersa non solo dalla semplicità del racconto e dall’intreccio dei sentimenti celati, ma da quell’esuberanza inconcludente di un film che si prende tutto il tempo per mostrare ciò che circonda l’azione narrativa, come ballare dentro un bar o una corsa al Louvre, che potrebbe sembrare solo un contorno al racconto, ma che al contrario è il succo stesso del proprio vissuto.
Bande à part [id., Francia 1964] REGIA Jean-Luc Godard.
CAST Anna Karina, Claude Brasseur, Sami Frey, Louisa Colpeyn.
SCENEGGIATURA Jean-Luc Godard, Dolores Hitchens. FOTOGRAFIA Raoul Coutard. MUSICHE Michel Legrand.
Drammatico, durata 95 minuti.