SPECIALE CINEMA LGBTQ
Love will tear us apart
Tra le mura di cemento e le sbarre di una prigione la storia d’amore negata tra due vicini di celle trova ostacoli (il secondino voyeur) e momenti di liberazione (onirica e non). Diciamolo subito: l’unico film girato dallo scrittore e drammaturgo Jean Genet è disponibile gratuitamente su YouTube o Vimeo.
Se non lo avete mai visto mettete in pausa la presente recensione e spendete ventisei minuti della vostra vita per partecipare a un atto di pura rivoluzione poetica. Poi, se deciderete che tanto vi basta e non vorrete tornare a leggere questo povero (media)critico che tenta con ostinazione di scrivere sull’acqua, avrete tutta la sua comprensione. Girato con i soldi che basterebbero oggi per pagare l’occupazione di suolo pubblico a Roma per una giornata di riprese e con attori pasoliniani che riescono a farci credere di mettere in scena qualcosa, un gesto, un’espressione, una danza, mentre stanno semplicemente prendendo consapevolezza dei loro corpi, Un chant d’amour è un racconto che ci parla dall’interno. La violenza del corpo, la sua presenza ingombrante e l’indecenza della sua nudità ne hanno fatto un oggetto proibito per oltre vent’anni, dando così avvio al suo recupero come cult a cavallo tra ’60 e ’70, quando proprio quella violenza e quella nudità potevano essere simboli del cambiamento in atto. Oggi si cita e si conosce poco, ma se si ha la fortuna di frequentare persone legate al mondo LGBTQ, sensibili all’arte cinematografica, può darsi che una sera lo si veda proiettato sul muro di cucina di una casa bolognese. Allora, più che su grande schermo, il fumo che i due reclusi condividono attraverso un foro nel muro grazie a una cannuccia è capace di avvolgere la stanza, chiamandoci in causa come esseri umani, evocando a sé il desiderio totalizzante di amare qualcuno attraverso gli sguardi muti dei protagonisti e la sconfinata purezza di ogni loro movimento. È come se sapessero – e sapessimo – di non poter morire prima di aver afferrato il mazzo di fiori legato alla cordicella che un braccio ignoto, sospeso nel vuoto, ci lancia. È come se ogni contrazione dei corpi anticipasse un nostro spasmo involontario in un campo/controcampo interiore che chiama in causa, a turno, labbra, occhi, mani, membro, piedi, naso, petto. Un chant d’amour vi farà a pezzi e parlerà, dolcemente, a ognuno di essi.
Un chant d’amour [id., Francia 1950] REGIA Jean Genet.
CAST Java, Coco Le Martiniques, André Reybas, Lucien Senemaud.
SCENEGGIATURA Jean Genet. FOTOGRAFIA Jacques Natteau, Jean Cocteau. MONTAGGIO Jean Genet.
Drammatico, durata 26 minuti.