La fuga è un gioco
Due ragazzi di diciassette anni, compagni di scuola, a loro modo emarginati. Lui, James, silenzioso e asociale, orfano di madre da quando era piccolo, vive con il padre semplicione ed è convinto di coltivare psicosi omicide, in attesa di poterle testare su un altro essere umano. Lei, Alyssa, lingua lunghissima e umore altalenante, è ormai l’outsider di casa da quando sua madre si è risposata con un uomo che la piega alla sua volontà e della ragazzina non vuole preoccuparsi.
Una premessa sufficiente a scatenare un incontro sui generis, a suggerire ai giovani le prime confidenze, a far crescere in loro un irrazionale e ben poco progettato desiderio di fuga attraverso il Regno Unito. Quello che racconta The End of the F***ing World, la serie creata da Jonathan Entwistle per Channel 4 e trasmessa da inizio 2018 anche su Netflix: non soltanto una fuga da questi fantasmi familiari, se vogliamo già visti e raccontati. Ma soprattutto una fuga per allargare gli orizzonti, riprogrammare la quotidianità, farlo con qualcun altro. Darsi un “nobile” obiettivo − ritrovare il padre di Alyssa, figura (troppo) idealizzata − e provare a raggiungerlo, costi quel che costi: per James e Alyssa questo viaggio diventerà presto una prova iniziatica al mondo degli adulti, decisiva per assumersi quelle responsabilità che prima erano soltanto etichette pensate o suggerite nel retro delle coscienze. Le prove che i due giovani dovranno affrontare non saranno soltanto sufficienti a innescare una curiosa indagine di polizia al loro seguito, ma anche capaci di convertire l’immagine che ciascuno ha per l’altro. Quello che per Alyssa era James, ossia un appiglio contro la solitudine, e per James Alyssa, una possibile vittima della sua presunta tensione omicida, presto diventano soltanto cura e attenzione reciproca, capacità di capire se stessi attraverso l’ascolto e la comprensione dell’altro. Risiede qui il merito di The End of the F***ing World, dando corpo, in appena otto brevissimi episodi, a un doppio ritratto umano avido di sfumature. Tra richiami a La rabbia giovane, con tanto di martellante voice over, e correlativi paesaggistici rintracciati nella geografia britannica, la serie riesce a toccare una miriade di situazioni e toni differenti, spesso privilegiando la sorpresa narrativa a un più rigoroso approfondimento delle situazioni. Non riesce però a gestire la frammentarietà un po’ esibita dentro cui il racconto è calato, lasciando che a dettare il ritmo sia il solo alternarsi sincopato di violenza e sofferenza, tenerezza e grottesco, silenzi e ineludibile logorrea. Forse per raccontare la ribellione del nostro tempo non si può fare a meno di cucirle intorno una giocosa, farsesca, colorata finzione. Forse è un modo per sancirne l’utopia.
The End of the F***ing World [id., Gran Bretagna 2017] REGIA Jonathan Entwistle, Lucy Tcherniak.
CAST Alex Lawther, Jessica Barden, Gemma Whelan, Wunmi Mosaku, Steve Oram.
SCENEGGIATURA Charlie Covell. FOTOGRAFIA Justin Brown, Ben Fordesman.
Commedia/Drammatico, durata 19-22 minuti (episodio), 8 episodi.