Sostituzione d’identità
Ogni opera d’arte, di qualsiasi altra natura, nel suo farsi cerca un’identità. È l’atto creativo stesso che per esplicarsi deve scendere a compromessi, non necessariamente negativi, con la realtà, aderendovi o imitandola, modellando le sue forme sulle forme già esistenti in termini di società, tradizione e simbologia.
Non è un caso che tale processo si rifletta direttamente nella scelta del tema che così spesso comprende la ricerca e definizione di un’identità, la sua mutazione o la sua perdita. Sami Blood, opera prima di Amanda Kernell, esagera, eccede, ma per questo riesce nello scopo. Ritrae una donna, Ella-Marja, in due momenti speculari e cruciali della sua vita: l’adolescenza, dove da infinite possibilità bisogna determinarsi e individuarsi, e la vecchiaia, dove si fanno i conti con le strade scelte e non scelte, con le luci e le ombre dei tanti anni spesi in un corpo e in un ruolo. Ella-Marja appartiene ai Sami, più conosciuti come Lapponi, un popolo fortemente identitario, tradizionale e orgoglioso, che ha abitato per secoli la regione più a nord della penisola scandinava. La cultura Sami nella prima metà del ‘900 fu osteggiata con violenza, in particolare dallo Stato norvegese, che considerava i loro territori come importanti risorse inutilizzate. Con l’istituzione di scuole specifiche per i Sami, in cui si insegnava loro a nascondere, quasi a cancellare, ogni tratto della propria lingua e delle proprie tradizioni, e con la restrizione per legge di alcuni privilegi sociali ed economici a chi fosse norvegese o ne avesse acquisito la cultura, di fatto si legalizzava la segregazione e il pregiudizio. Furono istituiti dei centri di ricerca sulla razza allo scopo di condurre studi sulla presunta inferiorità fisica e intellettiva dei Sami, che, senza sorpresa, fu “scientificamente” riscontrata, certificando le decisioni a loro sfavore prese dal governo. Ella-Marja subisce in pieno i pregiudizi sul suo conto, gli sguardi degli uomini norvegesi sono come macigni, le umiliazioni pubbliche la coprono di vergogna e l’impossibilità di proseguire gli studi in corsi più avanzati nelle grandi città la portano gradualmente a svestirsi della sua identità, a partire proprio da quegli abiti tradizionali, colorati e vistosi, che la identificano anche a distanza. L’amore come forza pura e assoluta sembra essere l’unico mezzo per far assottigliare la spessa coltre che impedisce a individui delle due parti di guardarsi e parlarsi davvero. Ella-Marja conosce un uomo e nel presentarsi dà di sé un nuovo nome, Christine, marchio di una donna nuova su una strada difficile. Il rifiuto di sé e l’acquisizione di un’identità precostruita, garanzia di maggiore visibilità e accettazione, sembrano essere l’unica via, disperata, per sopravvivere. Quanto tutto ciò assomiglia a ciò che accade quotidianamente? Viene il dubbio, infine, che Sami Blood sia un film per niente storico, ma di bruciante attualità.
Sami Blood [Sameblod, Svezia/Danimarca/Norvegia 2016] REGIA Amanda Kernell.
CAST Lene Cecilia Sparrok, Maj-Doris Rimpi, Mia Sparrok, Olle Sarri.
SCENEGGIATURA Amanda Kernell. FOTOGRAFIA Sophia Olsson, Petrus Sjovik. MUSICHE Kristian Eidnes Andersen.
Drammatico, durata 110 minuti.