Un altro sé
Diretta da Mary Harron, che il pubblico ricorda regista del controverso American Psycho, la miniserie canadese L’altra Grace ha da poco fatto il suo approdo internazionale su Netflix, evocando un confronto quasi indiretto con un’altra, discussa produzione del 2017, The Handmaid’s Tale.
Punto di congiunzione è il lavoro della scrittrice Margaret Atwood, i cui romanzi hanno ispirato entrambi gli adattamenti tv, declinando ora in chiave distopica, ora sotto forma di racconto che attraversa la Storia, due stratificati e perturbanti ritratti di donna, capaci di risuonare di una flagranza di sguardo e di pensiero al lavoro che, senza semplificazioni, alimentano vere e proprie architetture psichiche e immersioni nel rapporto tra individualità (femminile) e società. Nel caso di L’altra Grace, la vicenda è ispirata alla vera storia di una domestica di origine irlandese immigrata in Canada intorno al 1840, Grace Marks, che fu arrestata forse ingiustamente per l’omicidio del suo ultimo datore di lavoro e della propria superiore, amante dell’uomo e di lui incinta: graziata dalla condanna a morte, alla giovane – appena sedici anni e una precisa convinzione d’innocenza – la pena fu commutata in ergastolo, dal quale fu liberata soltanto molti anni dopo. Rispetto a questa cornice, il lavoro della Atwood poi ripreso dalla serie – di cui l’autrice ha vagliato la scrittura insieme alla talentuosa Sarah Polley – consiste nell’immaginare tutto il racconto filtrato dalle parole della stessa ragazza, oggetto di studio di un giovane psichiatra, il dottor Simon Jordan, deciso a sondare la verità attraverso i ricordi e le reticenze della sua testimonianza. Ed è qui che si dispiega il nodo d’interesse del lavoro: complice la prova di Sarah Gadon, capace di irrisolvibili ambiguità, entro una messinscena che, con paradossale intuizione, si fa confezione tanto più didascalica quanto più evidente sarà la non affidabilità del racconto, nella figura di Grace confluiscono e si accavallano cronenberghianamente i segni di temporalità diverse e frante, e la ricerca della verità perde presto tutto il suo valore di traguardo, in un incessante oscillare tra possibili piani di lettura che lascia solo intuire le ragioni di una possibile violenza da parte della donna. Tra sogni, ipnosi, coincidenze e spiritismo, anche lo spettatore è asservito a impotente, estatico prigioniero della ragazza. Come in The Handmaid’s Tale, siamo di fronte a un essere umano braccato da una realtà decisa a privarlo di soggettività: mentre June sembra fortificata da una strategia di invisibilità, per Grace la salvezza è una fuga dalla mente stessa, una doppiezza quasi inconsapevole. O forse più che consapevole, di sé e del contesto cui suo malgrado appartiene.
L’altra Grace [Alias Grace, Canada/USA 2017] REGIA Mary Harron.
CAST Sarah Gadon, Edward Holcroft, Zachary Levi, Anna Paquin, David Cronenberg.
SCENEGGIATURA Sarah Polley (tratta dall’omonimo romanzo di Margaret Atwood). FOTOGRAFIA Brendan Steacy.
Drammatico/Biografico, durata 45 minuti (episodio), miniserie in 6 episodi.
Pingback: La Top Ten Mediacritica 2017 - Mediacritica – Un progetto di critica cinematografica