L’ennesimo “film da festival”. E invece no.
Marija è una giovane emigrata ucraina nella città tedesca di Dortmund che cerca di aprire un suo salone da parrucchiera mettendo da parte i soldi guadagnati come donna delle pulizie. Un obiettivo che diventerà molto più lontano quando la ragazza sarà licenziata, situazione che renderà più difficile anche il suo sostentamento quotidiano, almeno fino a quando non incontrerà un faccendiere piuttosto losco.
Presentato a Locarno 2016, Marija di Michael Koch è, apparentemente, il tipico “film da festival” improntato su quello stile scarno e asciutto caratterizzato dal pedinamento a macchina a mano dei personaggi, dalla quasi totale assenza di musica extradiegetica e dalla rappresentazione realista di luoghi squallidi. Una linea estetica e linguistica certamente legittima, ma che sembra ormai un po’ abusata e inflazionata in un certo cinema europeo, e che rischia perciò di far scivolare nell’anonimato quella che vorrebbe essere un’opera d’autore. Ma, per fortuna, il lavoro di Koch sfrutta in modo intelligente le scelte formali sopraccitate e, basandosi anche su una buona sceneggiatura di partenza, riesce ad elevarsi rispetto ad altri titoli “festivalieri” contemporanei. A spiccare è, in primis, il personaggio principale, alquanto interessante ed emblematico per la sua freddezza e la sua determinazione: tutt’altro che angelica, Marija è una donna pronta a tutto per realizzare il proprio (piccolo) sogno e la sua vicenda mette bene in luce non solo le difficoltà dei migranti, ma anche la mole di compromessi ai quali si è costretti a scendere per raggiungere i propri desideri o, più semplicemente, per sopravvivere. Una visione lucida e disincantata dell’Europa contemporanea che emerge soprattutto dai comportamenti e dalle azioni della protagonista (ben interpretata da una glaciale ma espressiva Margarita Breitkreiz), alla quale lo script sembra affidare (quasi) tutto il significato del film. E in tale direzione, anche la regia acquisisce un senso ben preciso e rintracciabile: se il pedinamento continuo della protagonista ne mette in rilievo la centralità, la freddezza della messa in scena ha la funzione di distanziare lo spettatore, che parteciperà all’opera più intellettualmente che emotivamente. Un obiettivo, quest’ultimo, che il cineasta raggiunge grazie anche a una rappresentazione cruda ma mai compiaciuta o patetica della realtà mostrata, rendendo il film in questione più vicino al sincero rigore di un lavoro come La ragazza senza nome che alle gratuite provocazioni di un The Tribe. Elementi che rendono Marija un’opera magari non originale, ma comunque solida, compatta e coerente, che usa in modo motivato e controllato un’estetica autoriale tanto sfruttata quanto difficile da gestire.
Marija [id., Germania/Svizzera 2016] REGIA Michael Koch.
CAST Margarita Breitkreiz, Georg Friedrich, Olga Dinnikova, Sahin Eryilmaz.
SCENEGGIATURA Juliane Grossheim, Michael Koch. FOTOGRAFIA Bernhard Keller. MONTAGGIO Florian Riegel.
Drammatico, durata 100 minuti.