SPECIALE OSPITI INATTESI
Senza fine
Il giovane albergatore Paul, indebitato per l’acquisto della sua nuova struttura su un lago in Alta Garonna, conosce la bellissima Nelly e se ne innamora. I due si sposano, nasce il piccolo Vincent, le stagioni si succedono e l’albergo prospera. Ma l’ombra inguaribile della gelosia di Paul cala sulla serenità dell’intera famiglia.
Rimaneggiando la sceneggiatura di un altro Inferno, quello concepito da Henri-Georges Clouzot a metà degli anni Sessanta che come noto non giunse a definitiva conclusione, Claude Chabrol firma nel 1994 il racconto di una coppia la cui vita è minata dal di lui progressivo collasso psichico. Solo apparentemente minore all’interno della sua filmografia, L’inferno è una spirale ineludibile costruita con pochi ingredienti ed enorme slancio registico, da cui tutti i drammi della gelosia, piccoli e grandi, cinematografici o televisivi, avrebbero ancora oggi molto da imparare. Chabrol ha il merito, e forse la sua correttezza “clinica” sta proprio qui, di non provare nemmeno a fare ordine, indebolendo anzi con vistose ellissi tutto l’arco temporale (logico?) della vicenda, vera e propria operazione di copertura rispetto all’esplodere dei sintomi di Paul. L’ossessione nei confronti della moglie Nelly trascende infatti il movente della sua straordinaria bellezza, e si colloca immediatamente su un piano di negazione del reale. Tutti i pedinamenti rituali e i momenti della donna spiati di nascosto (memorabile la corsa da infarto nei boschi mentre Nelly fa sci d’acqua sul lago) diventano così la stessa sostanza impazzita della gelosia. Il rapporto tra mente e sguardo risulta definitivamente ribaltato: non è quel che si vede a muovere il pensiero, e quanto più la tensione scopica di Paul monta, tanto più la sua fantasia la affama e la travia. È letteralmente un film in cui la soggettiva, come costellata di punti neri simili a insetti ronzanti, soccombe al potere dell’immaginazione, dimostrando che il cinema, inteso come invenzione, è già presente dietro ai nostri occhi. Chabrol lo sa bene e lo mette in scena senza riserve (omaggiando diversi maestri: Welles, Hitchcock, lo stesso Clouzot): attraverso le ambigue tensioni e l’inconoscibilità che ogni amore porta con sé; nelle paranoie che alimentiamo percependo lo sguardo altrui sulle nostre vite – per Paul gli stessi ospiti dell’albergo, al contempo risorse e invasori; e nondimeno nella percezione degli spazi, visto che la pensione estiva, con tutti i suoi corridoi pronti a trasformarsi in demoniaci buchi neri, altro non è che la testa del protagonista. E da qui a dedurre che questo inferno è senza fine, non serve davvero il cartello conclusivo del film a ricordarcelo.
L’inferno [L’enfer, Francia 1994] REGIA Claude Chabrol.
CAST François Cluzet, Emmanuelle Béart, Marc Lavoine, André Wilms, Mario David.
SCENEGGIATURA Henri-Georges Clouzot. FOTOGRAFIA Bernard Zitzermann. MUSICHE Matthieu Chabrol.
Drammatico, durata 100 minuti.