Per (non) dimenticare
Pur a fronte di una brevissima e tardiva comparsa nelle sale italiane, Cavallo Denaro è, coerentemente alla poetica di Pedro Costa, uno di quei film volontariamente situato ai margini, destinato a lavorare lungo il confine incerto tra la necessità e l’oblio, e restituire, attraverso i suoi protagonisti, un percorso quasi ascetico dentro le faglie della Storia e le fratture delle vite che l’hanno abitata.
Ad aprire il film sono le fotografie newyorkesi del danese Jabob Riis, che documentavano a fine Ottocento la subalternità dei lavoratori immigrati a New York, ma la connessione che vedremo costruirsi con il resto del film sembra interrogare soprattutto l’approccio all’immagine: un quadro dove il rapporto tra luce e oscurità, spesso nella geometria essenziale della composizione, diventa miscela alchemica che imprigiona e al contempo garantisce una voce ai fantasmi che la attraversano. Una voce talmente flebile da non poter mai costituire un testamento, o una denuncia, ma più propriamente un lamento, un’elegia sussurrata, che inchioda nello stesso istante frammenti di un tempo molto più ampio. Così Ventura, volto simbolo del cinema di Pedro Costa, manovale capoverdiano confinato alla periferia di Lisbona dopo la Rivoluzione dei Garofani, ormai anziano e malato, galleggia nell’eternità di un presente espanso, dentro le stanze in rovina di un ospedale che è anche fabbrica e carcere. Da questo luogo, impercettibilmente animato dai corpi dimessi dei personaggi, possiamo uscire soltanto per un breve momento, perché ad essere negata, oltre alla prospettiva del tempo, è anche quella di un orizzonte, divorato dalla macchina burocratica di un paese che, dopo la rivoluzione, confinò senza reale pianificazione tutti i trapiantati dalle ex colonie africane in un quartiere tutt’oggi esposto a condizioni estreme. Una lunga sequenza in ascensore, nella quale Ventura fronteggia lo spettro di un soldato, suggella questa coazione a ripetersi degli eventi, in una circolarità che trascende il singolo e tocca le vite di tante altre persone. Nel rigore della regia – che è valsa a Costa un premio al Festival di Locarno del 2014 – i fantasmi di Cavallo Denaro sembrano nutrire con le loro storie il disegno di una struttura che erode se stessa, quasi a dirci che il non poter più essere, e il non poter più avere, di cui questi umani a cavallo tra la vita e la morte si fanno carico, possono vivificarsi nel gorgo rassegnato della dimenticanza. E in questa dimenticanza, essere ancora ricordate.
Cavallo Denaro [Cavalo Dinheiro, Portogallo 2014] REGIA Pedro Costa.
CAST Ventura, Tito Furtado, Antonio Santos, Vitalina Verela.
SCENEGGIATURA Pedro Costa. FOTOGRAFIA Leonard Simões. MONTAGGIO João Dias.
Drammatico, durata 104 minuti.