Dopo un’edizione di Cannes giudicata particolarmente deludente dagli addetti ai lavori, si sperava in un festival di Venezia soddisfacente. Il bilancio, complessivamente, può dirsi positivo.
Venezia 74 ha offerto una selezione di livello mediamente discreto, con numerose opere di un certo interesse e pochi scivoloni. La sezione dedicata alla realtà virtuale ha suscitato grande curiosità, ma è surfando tra concorso principale, Settimana della critica e Orizzonti che i festivalieri si sono tolti delle soddisfazioni. Senza menzionare almeno un paio di film notevoli fuori concorso, Zama di Lucrecia Martel e Jim & Andy: The Great Beyond di Chris Smith, che avrebbero meritato maggiore visibilità.
Come osservatorio sul cinema italiano, il festival ha presentato alcuni tentativi di film da esportazione degni di nota, da un punto di vista meramente produttivo (Nico, 1988 di Susanna Nicchiarelli) o della mimesi del linguaggio narrativo hollywoodiano (The Leisure Seeker di Paolo Virzì). E una serie di prodotti maggiormente legati al contesto geografico e sociale della penisola, in cui la rappresentazione di territori problematici è declinata secondo gli stilemi del naturalismo (Il cratere di Luzi e Bellino), del pastiche postmoderno (l’esplosivo Ammore e malavita dei Manetti), del cinema d’animazione moderno e adulto (il sorprendente Gatta Cenerentola) o della commedia drammatica (La vita in comune di Edoardo Winspeare). Fuori da questa dialettica global-local, ci sono solo esercizi di stile, sia pur eleganti (Hannah di Andrea Pallaoro) e ambiziosi (Dove cadono le ombre di Valentina Pedicini), o capolavori del trash da ridicolo involontario (Una famiglia di Sebastiano Riso, che probabilmente sopperisce alla mancanza della “quota Comencini”, quest’anno).
Con la vittoria di The Shape of Water la Mostra sancisce la definitiva riconciliazione con il cinema statunitense. Qualche anno fa sembrava che i filmoni hollywoodiani preferissero i festival nordamericani. Dopo aver aperto più edizioni consecutive con i film in seguito trionfatori agli Oscar (dubitiamo, però, che sarà così anche per Downsizing), a Venezia sembrano tornati non solo i divi, ma anche gli autori più controversi. Dall’Aronofsky del fischiatissimo Mother! all’apprezzato Schrader di First Reformed. Con Clooney (Suburbicon) e McDonagh (Three Billboards Outside Ebbing, Missouri) a portare alta la bandiera del perfetto cinema di sceneggiatura.
Viene dalla Francia il film più bello del festival, Les garçons sauvages di Bertrand Mandico, scabroso proprio come il Mektoub, My Love di Kechiche. E se non avevamo dubbi che il cinema eterno di Wiseman (Ex Libris) sarebbe risultato ben più giovane e politico di quello dell’involuto Guédiguian (La villa), ci stiamo ancora chiedendo se The Devil and Father Amorth di Friedkin sia un sintomo di rimbambimento o una satanica trollata.