Con i suoi ultimi lavori Il club, Neruda e Jackie Pablo Larraín ha dimostrato ancora una volta di essere uno dei registi più complessi e interessanti del cinema contemporaneo, in quanto capace di cambiare generi, stili e contesti produttivi riuscendo a mantenere comunque una certa coerenza poetica di fondo.
Ed è anche per questo che diversi cinefili e addetti ai lavori stanno dedicando all’autore latinoamericano una sempre crescente quantità di articoli, rassegne e pubblicazioni. Tra le prove di questo piccolo fermento vi è anche l’uscita di Sensibilità e potere. Il cinema di Pablo Larraín di Massimiliano Coviello e Francesco Zucconi, secondo libro monografico italiano interamente dedicato al regista cileno.
Qui i due autori cercano di analizzare in cinque capitoli (più una premessa e un’introduzione) tutta la filmografia del cineasta sudamericano (dall’esordio Fuga fino al più recente Jackie) come un “corpus teorico” al suo interno diversificato ma comunque piuttosto compatto.
Un compito arduo e delicato, quello dei due studiosi, soprattutto perché da Il club in poi il cinema di Larraín si è alquanto articolato: rispetto alla trilogia sulla dittatura i collegamenti tra un film e l’altro sono più sottili, con Neruda e Jackie la narrazione si è fatta più frammentata e, in linea generale, il “gioco” intellettuale dell’autore è diventato più esplicito e, forse, anche più ambizioso.
Nonostante tali premesse, i due critici riescono a interpretare quella del regista cileno come un’opera piuttosto univoca e coerente tramite un approccio che coniuga una ricerca più prettamente teorica (si citano spesso autori come Foucault e Deleuze) a un esame più “empirico”, basato quindi sull’analisi diretta e dettagliata di particolari sequenze e inquadrature. Un metodo grazie al quale gli autori individuano nella poetica di Larraín diverse ricorrenze linguistiche e discorsive: dal tema del trauma all’attenzione per la funzione dell’immagine, dalla presenza delle “soggettive libere indirette” al particolare uso del materiale d’archivio.
Tutto questo trovando inoltre due assi portanti dell’intera opera del regista: la sensibilità (intesa come capacità di riflessione critica sull’individuo e la collettività) e il potere (pensato come “forma di sovranità e governamentalità”). Due concetti che spostano leggermente quello che, secondo il sottoscritto, era il nodo cruciale dei primi lavori dell’autore cileno: la dialettica tra memoria e oblio.
Prospettive interpretative diverse ma coesistenti e, forse, persino coniugabili, che segnalano quanto il cinema di Larraín sia al tempo stesso articolato e coerente, multiforme e compatto.