Marito e moglie
James Gray conferma con Civiltà perduta la fedeltà alla sua concezione di un cinema lineare e limpido, in qualche modo “tradizionale”, non tanto per come chiaramente si ispira sotto certi aspetti a modelli del passato, quanto per come mette al centro una forma di racconto apparentemente pulita e lineare e uno stile completamente asservito alla narrazione e al suo senso.
Un cinema che però allo stesso tempo, dietro la “semplicità” narrativa, si rivela complesso e ricco di suggestioni e di chiavi di lettura, e soprattutto capace di rinnovare la sua “tradizionalità”. Così, se I padroni della notte non si limita ad essere una gradevole ma fine a se stessa ennesima variazione sul tema dello scontro/incontro tra bene e male all’interno di un nucleo familiare, e Two Lovers è stato definito da qualcuno come “il film d’amore che è mancato alla New Hollywood”, Civiltà perduta innesta nel film d’avventura e d’esplorazione ossessioni, complessità e contrasti. Lo fa raccontando nella sostanza la vicenda da più punti di vista, nonostante di primo acchito la narrazione sembrerebbe seguire l’ottica del protagonista, ossessionato dal passato della sua famiglia, visto come un impedimento decisivo per la gloria e la fama, come, herzoghianamente, dall’obiettivo gigantesco di scoprire la “città z” e la vecchia civiltà le cui tracce sono protette dall’inferno dell’Amazzonia. Altrettanto importante è soprattutto lo sguardo della moglie, per lunghi tratti vero controcanto all’ossessione (e alla follia) del protagonista e trattato in maniera ben più densa e importante di quello di un personaggio secondario; non è un caso che a lei siano dedicati lo splendido finale e una delle sequenze più suggestive, quella in cui il movimento del treno con una dissolvenza si sovrappone alla donna distesa nel suo letto. Del resto il frequente uso delle dissolvenze e il passaggio altrettanto frequente, come in un gioco di specchi e di rimandi, da un ambiente all’altro – dall’Amazzonia al Regno Unito, dal protagonista alla moglie – conferma la doppia ottica su cui il film viaggia. Non c’è spazio per affrontare tutte le ossessioni accennate dal film; basti dire che questa complessità di fondo è resa da uno stile, anche in questo caso, all’apparenza lineare, e nella sostanza aperto a virtuosismi e a continui scarti stilistici. Civiltà perduta soffre, dopo un’ottima prima parte e uno splendido finale, di qualche lungaggine e di qualche intoppo nella parte centrale, cosa che lo stabilizza qualche gradino sotto i suoi due capolavori, ma che, dopo il mezzo passo falso di C’era una volta a New York, conferma la caratura del regista newyorkese.
Civiltà perduta [The Lost City of Z, USA 2016] REGIA James Gray.
CAST Charlie Hunnam, Sienna Miller, Robert Pattinson, Tom Holland, Daniel Huttlestone.
SCENEGGIATURA James Gray. FOTOGRAFIA Darius Khondji. MUSICHE Christopher Spelman.
Avventura, durata 141 minuti.