Se in questi giorni sentite pronunciare la parola artista per più di due volte nella stessa frase c’è una buona probabilità che vi troviate a Venezia alla Biennale d’Arte. La 57. Esposizione ha acquisito momentaneamente il copyright del termine riunendo 120 personalità all’insegna di un ritrovato ruolo sociale.
Complici l’incertezza del domani e l’incapacità di interpretare l’oggi tipica del nostro tempo, al grido di Viva Arte Viva questa edizione ripassa in lavatrice la figura un po’ stinta dell’artista contemporaneo – arroccato nel concettuale, sterile provocatore o, nella migliore delle ipotesi, soltanto avido di denaro – per candeggiarla in quella di portabandiera di un nuovo umanesimo e interprete della coscienza mondiale. Questo il tema un po’ utopico del cuore della manifestazione, sviluppato tra il Padiglione Centrale ai Giardini e l’Arsenale in una serie di trans-padiglioni tematici, a far eco a quelli nazionali che non di meno, edizione dopo edizione, continuano ad aumentare. A far da corona a tutto questo percorso, interessante nelle premesse ma debole nel risultato, s’inseriscono tre progetti collaterali che permettono alla curatrice Christine Macel, ex funzionaria del Ministero della Cultura francese e attuale curatore capo del Centre Pompidou, di rivoltare l’artista come un calzino, portandolo a svelare tutti i trucchi del mestiere.
Così la lettura quotidiana del Capitale di Marx del predecessore Okwui Enwezor è rimpiazzata da una “Tavola Aperta” che invita i visitatori a pranzare con uno a scelta degli artisti in mostra; una trovata decisamente più in sintonia con la sensibilità gastronomica made in Italy. Con il progetto “Pratiche d’Artista” inoltre l’artista può essere osservato mentre è al lavoro, grazie ad un video che lo mostra all’opera nell’intimità del proprio studio. Infine, come se non bastasse, il novello sciamano è chiamato a cedere anche i propri cimeli e sacrificare un libro della propria collezione per arricchire quella bulimica del Padiglione Stirling, sempre a beneficio del pubblico.
Al sapore un po’ naïf e vagamente morboso del progetto curatoriale fanno da eco le proposte insipide dei padiglioni nazionali, che, a parte alcune confortanti eccezioni come Germania, Corea, Stati Uniti, Cina e, almeno per una volta, Italia, sbiadiscono comunque a confronto con l’offerta collaterale delle altre istituzioni cittadine. Più o meno slegate dalla Biennale, queste sorprendono con proposte di grande qualità, rendendo Venezia una specie di El Dorado degli appassionati d’arte contemporanea; questo sì da scoprire nell’intimo, ma solo per chi ha buona resistenza fisica.