Oltre i confini del franchise
Potenzialmente, la saga di Pirati dei Caraibi potrebbe andare avanti all’infinito. È l’indistruttibile ricetta Disney, il cui impero continua ad allargarsi a macchia d’olio. Fateci caso: fra Star Wars, Indiana Jones, Cinematic Marvel Universe, Pixar, nuove saghe e trasposizioni live action di vecchie animazioni è ormai pressoché impossibile che nei multisala non sia presente ogni settimana almeno un film della casa di Burbank.
Ogni nuovo capitolo praticamente non necessita delle visioni precedenti, crea ex novo temibili – e infine facilmente eliminabili – villain con intricate backstory e sui titoli di coda lancia l’amo per l’eventuale sequel. Per quanto saltuariamente possa incappare in fisiologici flop (The Lone Ranger), quella Disney è una flotta inaffondabile. Eppure parlare di pirati – almeno fino al 2003, anno di La maledizione della prima luna – è sempre stato cinematograficamente un rischio: i Pirati di Polanski, i Corsari di Renny Harlin e Il pianeta del tesoro (sempre disneyano) sono solo alcuni dei titoli che hanno creato la mitologia di una presunta “maledizione” piratesca. Per decenni l’assunto è stato incontrovertibile: i pirati al cinema non funzionano. Paradossalmente, per il produttore Jerry Bruckheimer il segreto iniziale del successo è stato… non crederci troppo: nessuno avrebbe immaginato un tale riscontro per un filmetto estivo basato su una attrazione da luna park. Pirates of the Caribbean nasce quindi come un baraccone pirotecnico per famiglie, dal presunto incasso facile vista anche la presenza (sfruttata a singhiozzo, il che fa capire anche le relative aspettative sul progetto) del divo Johnny Depp e sulla carta diretto solo all’audience americana. Non ci sono sottotesti in Pirati dei Caraibi, non ci sono metafore o interpretazioni extra-filmiche: ciò che si vede è. Ecco il segreto di un successo che non ha pretese oltre a quelle dell’intrattenimento duro e puro, che si ferma alla morale dell’inno scombiccherato al caso e al caos della vita, che elegge a eroe un personaggio eccentrico che si muove senza costrutto per i mari. Ne La vendetta di Salazar – storia di una flotta fantasma che vuole distruggere Jack Sparrow – ogni singola sequenza è sketch, alleggerimento comico, nulla serve a nulla per il prosieguo della narrazione. È una sfacciata resa, estetica e morale: lo spettatore deve solo abbandonarsi alla visione, non farsi domande, assistere allo spettacolo “attrattivo” e, infine, scendere dalla giostra confuso e felice. Può sembrare assurdo, ma i Pirati sono insieme necessari e del tutto superflui, nutrono il bisogno naturale di svago e sono culturalmente inutili (ma non per questo dannosi). Oltre i confini del franchise c’è una saga che un giorno, al termine della sua corsa, mancherà moltissimo. Ma di cui nessuno ricorderà quasi nulla.
Pirati dei Caraibi – La vendetta di Salazar [Pirates of the Caribbean: Dead Men Tell No Tales, USA 2017] REGIA Joachim Rønning, Espen Sandberg.
CAST Johnny Depp, Javier Bardem, Geoffrey Rush, Kaya Scodelario, Orlando Bloom.
SCENEGGIATURA Jeff Nathanson. FOTOGRAFIA Paul Cameron. MUSICHE Geoff Zanelli.
Avventura/Azione/Fantastico, durata 129 minuti.